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Tag: lavoro

Laureati Unipg, più facile trovare un buon lavoro rispetto alla media degli Atenei italiani

L’Università degli Studi di Perugia si colloca al di sopra del dato medio del Paese sia nella percentuale di occupazione a 5 anni dalla laurea (93.0% contro l’89,8%) che nell’efficacia del titolo nel lavoro (71,2% contro il 68.2% del Paese a 1 anno dalla laurea e 75.9% contro 74,8% a 5 anni).

E’ quanto emerge dal rapporto 2025 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, che fotografa le performance formative di circa 305mila laureati del 2024 e la condizione occupazionale di 690mila laureati di 81 Atenei italiani, contattati rispettivamente a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo.

L’indagine ha coinvolto 8.196 che si sono laureati all’UniPg. Per i laureati triennali a un anno dalla laurea che hanno scelto di non proseguire il percorso universitario (32,2% del totale) aumenta il valore degli occupati al 77.8% (76,9% nel 2024, +0.9), confermando il trend in forte crescita registrato a partire dal 2022. Pari al 31,5% la percentuale dei laureati UniPg di questa categoria che possono contare su un contratto a tempo indeterminato. Il 38,6% può contare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato e il 7,1% svolge attività in proprio (come libero professionista, lavoratore in proprio, imprenditore, ecc.). Il lavoro part-time coinvolge invece il 26,4% degli occupati. In forte aumento (+3.3) la percentuale di chi considera il titolo acquisito efficace o molto efficace per il lavoro svolto, che si attesta al 66,3% contro il 63,0% del 2024.

Tra i 1922 laureati di secondo livello contattati a un anno dalla laurea, si registra una netta crescita occupazionale al 78,0% (+3.1). Si conferma in forte crescita anche la percentuale di laureati magistrali che può contare su un lavoro a tempo indeterminato (da 15,7% del 2023 a 19,6% nel 2024 a 23,4% nel 2025) con un aumento di +3.8. In calo dopo l’aumento registrato lo scorso anno (+2.6%) il valore di chi può contare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato (26.1% del 2025 contro 27,8 del 2024%, -1.7), mentre l’11,1% lavora in proprio e il 16.0% ha un’occupazione part time.

Si conferma in crescita la percentuale di chi, a un anno dalla laurea, considera il titolo acquisito presso l’Università degli Studi di Perugia efficace o molto efficace per il lavoro che sta svolgendo, pari al 75.9% degli occupati contro il 72,4% registrato nel 2024, (+3.5). Un dato superiore del 2,9% rispetto alla media nazionale, che si attesta al 68,2%.

Il balzo a cinque anni dalla laurea

A cinque anni dalla laurea, in forte crescita (93.0%, +4.2) l’occupazione rispetto ai valori registrati nel 2024, pari all’89,8%. Di questi, in particolare crescita la percentuale di chi può contare su un contratto a tempo indeterminato, che si attesta al 48.7% contro il 43,2% registrato nel 2024 (+5.5). Al 15.6% quelli a tempo determinato, 12,6% in proprio e 7,3% part time.

Le retribuzioni

Per quanto riguarda le retribuzioni mensili nette, si mantengono stabili (da 1346 euro a 1350 euro) per i laureati triennali che non proseguono gli studi universitari e si registra un aumento di quelle relative ai laureati magistrali a 1 e a 5 anni dal conseguimento del titolo, che passano, rispettivamente, da 1367 a 1457 euro mensili e da 1701 euro a 1736 euro mensili (dato, quest’ultimo, che nonostante l’incremento continua a rimanere lievemente sotto la media nazionale, essendo influenzato in maniera particolare dalle condizioni di sviluppo economico del territorio).

Il livello di soddisfazione

Complessivamente, si legge nel rapporto, il 75,9% dei laureati magistrali dello Studium perugino a 5 anni dalla laurea considera il titolo acquisito molto efficace o efficace per trovare lavoro, un dato superiore alla soddisfazione italiana media, che si attesta al 74.8%.
Allo stesso modo, il 65,9% degli intervistati dichiara di utilizzare in misura elevata, nel proprio lavoro, le competenze acquisite all’Università degli Studi di Perugia.

Cratere sisma, così l’andamento della ricostruzione cambia il mercato del lavoro

La ricostruzione cambia anche l’andamento del lavoro nei comuni nei 15 comuni del cratere umbro del sisma del 2016. Da un lato l’aumento degli addetti subordinati, vero segnale di un’economia che si sta strutturando; dall’altro, il declino inarrestabile degli addetti familiari, simbolo del tessuto micro-imprenditoriale della Valnerina.

Quando si guarda però al “cratere senza Spoleto”, cioè ai 14 comuni montani più piccoli, la fotografia è più nitida e meno distorta dal peso specifico della città: Cascia, Cerreto di Spoleto, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano, Vallo di Nera (provincia di Perugia), più Arrone, Ferentillo, Montefranco e Polino (provincia di Terni).

Una crescita reale, ma figlia dei cantieri
Nel cratere umbro esclusa Spoleto, i lavoratori subordinati sono passati da 2.562 nel primo trimestre 2015 a 3.187 nel primo trimestre 2025: +24,4%. Un trend continuo, anno dopo anno, a partire dal 2021. Cresce anche il peso relativo: se nel 2015 i dipendenti erano il 53,5% del totale degli addetti, oggi rappresentano oltre il 62%.

Un cambiamento epocale per territori dominati da piccolissime imprese familiari. Il motivo? La ricostruzione. I cantieri del sisma hanno portato nella Valnerina nuove aziende, soprattutto edili, strutturate e con forza lavoro esterna. Inoltre, alcune imprese locali hanno saputo riorganizzarsi, mantenendo la sede in zona ma lavorando altrove, assumendo nuovo personale.

Un altro aspetto è l’emersione di lavoro formalmente registrato. Diversi addetti che prima risultavano “familiari” o non contrattualizzati, sono ora assunti con forme regolari. In un’area dove il sommerso aveva un certo peso, anche questo contribuisce a far salire i numeri ufficiali dei subordinati.

Il declino delle famiglie imprenditoriali
Nel frattempo, gli addetti familiari calano: da 2.229 nel 2015 a 1.945 nel 2025 (-12,7%). Una caduta figlia di due dinamiche. La prima è generale: in tutta Italia il modello dell’impresa a conduzione familiare regge sempre meno. La seconda è specifica: la botta del sisma, l’esodo forzato, la paura di non tornare. Tante famiglie non hanno ripreso l’attività nei paesi di origine.

Il risultato è che, nei fatti, la forza del lavoro autonomo familiare si svuota. In molti casi gli addetti risultano ancora formalmente tali solo per motivi statistici: in cassa integrazione, o nominalmente legati a un’impresa che ormai opera altrove. C’è poi il tema delle “aziende fantasma”: formalmente attive, ma senza produzione effettiva.

Il saldo complessivo: +7,1% senza Spoleto, -4,4% con Spoleto
Nel cratere umbro senza Spoleto, gli addetti totali (familiari + subordinati) sono saliti da 4.791 a 5.132 (+341), pari a +7,1%. Ma se si include Spoleto nel conteggio, il quadro cambia radicalmente: gli addetti totali nel cratere con Spoleto sono scesi da 16.660 a 15.934 (-726), con una contrazione del 4,4%.

La spiegazione è duplice. Da un lato Spoleto vale oltre il 60% del cratere in termini demografici. Dall’altro, è un centro urbano con problemi economici propri, preesistenti al terremoto: qui l’effetto ricostruzione si sente meno.

Nel cratere con Spoleto i subordinati crescono appena del 2,1% (da 10.860 a 11.092), mentre gli addetti familiari calano del 16,5% (da 5.800 a 4.842). Il dato aggregato è negativo.

Il rischio di un rimbalzo a vuoto
La domanda di fondo resta aperta: questo aumento di addetti subordinati è duraturo o effimero? Finita la ricostruzione, queste aziende resteranno? E soprattutto, è sufficiente per frenare lo spopolamento?

I dati demografici parlano chiaro: Norcia ha perso il 9,7% dei residenti dal 2016, Cascia quasi il 7%. A Poggiodomo gli abitanti sono scesi a 83, con un indice di vecchiaia del 1.150%. L’età media nei comuni del cratere supera spesso i 60 anni. I giovani se ne vanno, e pochi tornano. Il saldo naturale resta ampiamente negativo. Solo in alcuni comuni, come Cascia, si registra un timido rimbalzo di natalità e migrazioni in entrata, ma non basta.

Fenice, la sfida di ricostruire le comunità
In questo scenario si inserisce il progetto Fenice, un’iniziativa strategica per la rigenerazione socio-economica del cratere, promossa dall’Università per Stranieri di Perugia insieme a Comune di Norcia, Camera di Commercio dell’Umbria e Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica.

L’obiettivo è ambizioso: non solo ricostruire case e strade, ma anche economie locali, competenze, identità. Norcia e la Valnerina sono il cuore pulsante di questo programma, che mira a invertire la traiettoria del declino con formazione, impresa, cultura. Si lavora per attrarre giovani, consolidare filiere agricole e turistiche, sperimentare nuove forme di residenza, puntare su digitale e comunità energetiche.

I numeri dell’occupazione dicono che qualcosa si muove. Ma da solo, il mercato non basta. Serve visione, continuità e capacità di trattenere le persone. Fenice nasce per questo. Resta da vedere se saprà davvero riaccendere il futuro.

“La ricostruzione ha innescato un cambiamento nel mercato del lavoro”
“I numeri – il commento dal progetto Fenice – confermano che la ricostruzione ha innescato un cambiamento strutturale del lavoro nel cratere umbro, ma da sola non basta. Stiamo assistendo a una crescita degli occupati subordinati, segnale incoraggiante, ma resta il rischio di un rimbalzo a vuoto se non ricostruiamo anche comunità e prospettive. Il Progetto Fenice nasce proprio per questo: per trattenere chi vuole restare e attrarre chi può tornare. Investiamo in impresa, formazione e identità, perché senza persone nessun territorio può avere futuro. È il momento di accelerare, con visione e continuità.”

Lavoro ed equilibrio di genere: indagini e riflessioni

Giovedì 5 giugno alle ore 17, presso la Casa delle Donne a Terni (l’incontro potrà essere seguito anche tramite la diretta online) si terrà l’evento dal titolo “Lavoro ed Equilibrio di Genere in Umbria”, organizzato dalla Regione Umbria, in collaborazione con la consigliera di Parità e l’Agenzia Umbria Ricerche.

Si tratta di un’importante occasione di confronto e approfondimento sul tema delle disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana.

L’iniziativa rientra nell’ambito delle politiche regionali per la promozione della parità di genere e il contrasto alle discriminazioni, con l’obiettivo di produrre conoscenza e stimolare azioni concrete per un’occupazione più equa e inclusiva.

Durante l’evento saranno presentati tre rapporti di ricerca:
“Asimmetrie di genere nella società umbra”
“Indagine sull’occupazione maschile e femminile nelle imprese umbre”
“Focus Group sugli squilibri tra vita-lavoro”

Lavoro e salari in Umbria, i dati

Salari molto bassi e lavoro che cresce nei numeri, ma che diventa sempre più precario. Questa, in sintesi, la fotografia scattata dalla Fondazione Di Vittorio e dall’Ufficio economia della Cgil, nell’indagine, basata su dati di Inps, Istat e Agenzia Umbria Ricerche. Studi che sono stati presentati nella sede della Cgil Umbria da Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio, Andrea Corpetti, segretario regionale della Cgil Umbria, e dalla segretaria generale della Cgil Umbria, Maria Rita Paggio, che ha commentato: “I dati ci confermano una situazione tutt’altro che rosea e che noi denunciamo già da tempo: salari molto bassi e un lavoro che cresce quantitativamente, ma solo in forma discontinua, precaria e sottopagata, con il conseguente aumento del numero di persone che pur lavorando restano povere. Una condizione che evidenzia la necessità di un cambiamento strutturale delle politiche di sviluppo del nostro Paese, a partire da quelle riforme del lavoro introdotte negli ultimi decenni, che, precarizzando e indebolendo il lavoro, non consentono più ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, ma che non sono neanche state in grado di aumentare la capacità delle imprese di produrre ricchezza, come invece ci era stato promesso in maniera ideologica”.

Lavoro e salari in Umbria

La ricerca dell’Ufficio economia della Cgil, che analizza l’anno 2023, indica che i lavoratori dipendenti in Umbria in quell’anno sono stati 231.325 e il loro salario lordo annuale medio era di 20.993 euro. Di questi circa 231mila lavoratori complessivi, meno della metà, solo il 39% (90.244), aveva un contratto a tempo determinato, full time e per l’intero anno, con un salario medio di 31.851 euro. Ma poi abbiamo: quasi 20mila lavoratori (8,6%) con contratti a termine, part time e discontinui e un salario medio di circa 6.500 euro; altri 19.500 (8,5%) con contratti a tempo indeterminato, part time e discontinuo con salari sui 10.500 euro; altre 31mila persone (13,5%) con contratti a termine, full time e discontinui che guadagnano 10mila euro lordi l’anno. In mezzo a questi due estremi, si collocano i restanti 70mila lavoratori umbri, con varie tipologie di contratti e salari che andavano dai 16mila ai 28mila euro annui lordi. Se si guarda alle fasce d’età, risulta che: i lavoratori sotto i 35 anni di età erano il 30,4% del totale (circa 70.500), con un salario medio di 15mila euro; la stragrande maggioranza dei lavoratori aveva tra i 35 e i 64 anni (156mila, il 67,5%) e un salario medio di 23.800 euro; quasi 5mila lavoratori (2,1%) avevano più di 64 anni e un salario intorno ai 16.400 euro.

Sempre meno giovani

“L’Umbria – ha rilevato Corpetti alla luce di questi dati – sconta anche un grave fenomeno di calo demografico con i giovani che, non trovando qui terreno fertile per le loro professionalità, cercano lavoro fuori regione. Le condizioni di lavoro in Umbria, infatti, sono particolarmente deficitarie, con diffuso part time e retribuzioni molto basse. La principale richiesta di lavoratori è in settori come il commercio e il turismo che, generalmente, essendo a basso valore aggiunto, offrono condizioni di lavoro part time e di bassa qualità e salari altrettanto bassi”.

Dopo l’introduzione del Jobs Act

Lo studio della Fondazione Di Vittorio si concentra, invece, sul periodo 2014-2024, cioè sui primi dieci anni dall’introduzione del Jobs Act, suddividendolo nelle fasce 2014-2019 e 2019-2024. Nel 2019, a cinque anni dall’introduzione del contratto a tutele crescenti, gli occupati in Umbria erano 363mila (222mila dipendenti a tempo indeterminato, 50mila a tempo indeterminato e 91mila lavoratori indipendenti), cresciuti del +4,1% sul 2014 (+14mila persone).

In particolare, si registra una flessione degli indipendenti (-2,8%), un incremento modesto dei dipendenti a tempo indeterminato (+1,5%, pari a +3mila) e un aumento molto marcato dei dipendenti a tempo determinato (+37,2%, pari a +13mila). Dal punto di vista qualitativo, si consolida la tendenza alla polarizzazione con incrementi più rilevanti nelle professioni più qualificate, quelle intellettuali e scientifiche (+9,8%) e quelle tecniche (+11,4%) da una parte, e le professioni non qualificate (+11,9%) dall’altra. Il periodo 2019-2024 è influenzato ovviamente dalla pandemia da Covid-19. Ma al 2024 si contano in Umbria 373mila occupati complessivi, con un aumento rispetto al 2019 del 4,2%, pari a +15mila. Le variazioni degli occupati nei diversi macro-settori, nell’arco dei cinque anni presi in considerazione, dimostrano: l’impennata degli occupati nelle costruzioni nel 2021; la tenuta dell’occupazione nell’industria che, nonostante la flessione registrata nell’ultimo anno, fa segnare +11,8% nel 2024 rispetto al 2019; l’aumento significativo nel 2024 (+13,5% sul 2023) degli occupati nel commercio, alberghi e ristoranti; la caduta del numero di occupati in agricoltura (-37,5% rispetto al 2019), su numeri assoluti tuttavia modesti, da 16mila del 2019 a 10mila del 2024.

Salari tra i più bassi d’Europa

“I salari italiani – ha fatto il punto Sinopoli – sono tra i più bassi in Europa, stagnanti da circa il 1991. Le riforme del lavoro hanno peggiorato la condizione di vita di milioni di persone. I presupposti economici su cui si sono basate le scelte politiche sul mercato del lavoro degli ultimi anni erano del tutto infondati. Anche la relativa crescita dell’occupazione degli ultimi mesi non ha nulla a che vedere né con le politiche del governo né con il Jobs Act, ma è anzi una coda del bonus 110% e la conseguenza dell’aumento della spesa pubblica dovuta al Pnrr. Sono quindi le politiche pubbliche e gli investimenti pubblici e privati che trainano l’occupazione, non certamente la riduzione delle tutele. Anzi bisogna innalzare le tutele e i salari perché sono vincoli che costringono le imprese a investire in scienze e tecnologie, e quindi a fondare la crescita su presupposti che poi portano benessere a tutti”.

Lavoro, normative e sgravi per affrontare le trasformazioni del mercato

Lavoro, a Perugia l’evento Humangest su novità normative e sgravi contributivi per affrontare le trasformazioni del mercato L’Agenzia per il lavoro del Gruppo SGB ha riunito esperti giuslavoristi, professionisti della formazione e aziende del territorio

L’obiettivo dell’evento “Lavoro e Futuro. Novità normative e sgravi contributivi: somministrazione e formazione come valore per le imprese” era quello di analizzare gli strumenti e le strategie più efficaci per affrontare le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro. Tema sul quale Humangest ha riunito esperti giuslavoristi, professionisti della formazione e aziende del territorio.

L’incontro – moderato dal giornalista Claudio Lattanzi – ha ribadito la necessità di un confronto autentico, fondato sull’ascolto, e di un approccio consulenziale capace di coniugare flessibilità, tutela e sviluppo, in un’economia del lavoro che richiede oggi più che mai rapidità di risposta e visione strategica.

La tavola rotonda

Dopo i saluti di Silvia Biondi, Area Manager Humangest, si è aperta la tavola rotonda, nel corso della quale Marco Valentini – Group Legal Director SGB Humangest – ha offerto una importante panoramica sugli sgravi contributivi previsti per il 2025, come ad esempio quelli destinati agli under 35, e sulle novità contenute nel nuovo CCNL Somministrazione.

Sempre in ambito normativo, Andrea Bonanni Caione – avvocato giuslavorista e Of Counsel Deloitte Legal – ha richiamato l’attenzione sulle criticità interpretative del Collegato Lavoro, facendo chiarezza su temi centrali come stabilizzazioni e dimissioni. Infine, Luigi Mercuri – CEO di Mercury Consulenze – ha sottolineato come la formazione professionale, realizzata attraverso strumenti come Forma.Temp, possa rispondere concretamente alle esigenze delle imprese, favorendo l’upskilling di competenze mirate e costruite a partire dalle reali applicazioni sul campo.

imprenditrici

Gli umbri non fanno figli: sempre meno studenti e (domani) giovani lavoratori

Anche in Umbria, come in gran parte d’Italia, la popolazione sta invecchiando e si contestualmente si assottiglia la fascia dei giovani.

Come evidenzia Giovanni Coco nello studio dell’AUR, non si tratta solo di una riduzione numerica, ma di uno spostamento radicale del baricentro generazionale.

Gli indicatori aggiornati al Censimento permanente 2023, evidenziano la rarefazione della popolazione infantile nei piccoli comuni: in almeno dieci di questi, i bambini tra 0 e 9 anni sono meno di cinquanta. In alcuni casi, si scende persino sotto i trenta residenti in questa fascia d’età. E la popolazione tra sotto i 9 anni varia da un massimo del 7,2% a un minimo del 5,5%.

Fino a 14 anni

Se si allarga l’analisi alla popolazione tra 0 e 14 anni si vede che rappresenta oggi l’11,3% del totale. Nel 2004, questa stessa fascia d’età costituiva il 12,3% della popolazione regionale. In termini assoluti, parliamo di una perdita di circa 13.000 giovani nell’arco di vent’anni. Una dinamica apparentemente lenta, ma che nel lungo periodo produce squilibri irreversibili. Tant’è che oggi in Umbria a fronte di circa 149.000 persone tra 0 e 20 anni, ce ne sono 260.000 nella fascia 41-60: un divario che supera le 110.000 unità, segno di uno squilibrio generazionale strutturale ormai conclamato.

La natalità discendente

La curva discendente della natalità accompagna, e in parte spiega, questa rarefazione giovanile. Tra il 2008 e il 2024, il tasso di natalità in Umbria è passato da 9,5 a 5,5 nati per mille abitanti, una riduzione superiore al 40%. Si tratta di una delle flessioni più marcate d’Italia.

Anche il numero medio di figli per donna conferma la criticità del quadro: nel 2024 l’Umbria si attesta attorno a quota 1,1, ben lontana dalla soglia di 2,1 necessaria al ricambio generazionale. La denatalità non è episodica, non è un effetto passeggero della crisi o della pandemia: è una tendenza strutturale, radicata nei meccanismi economici, sociali e culturali che regolano la transizione alla vita adulta.

Diminuisce la popolazione attiva

La diminuzione dei giovani produce una crescente sproporzione tra popolazione attiva e inattiva. L’indice di dipendenza strutturale dell’Umbria è passato dal 54,9% del 2004 al 62,1% del 2024, con un incremento di oltre 7 punti percentuali. L’indice di vecchiaia ha superato quota 237, con oltre 2,3 anziani ogni giovane. Gli over 65 umbri ruotano intorno al 28%. E se la tendenza continua, si supererà presto la soglia critica del 30%, oltre la quale l’equilibrio intergenerazionale rischia di diventare instabile.

Problemi sociali ed economici

Se ne ricava un sistema sociale che non può non manifestare segnali di crescente tensione: da un lato aumentano le esigenze sanitarie, pensionistiche e assistenziali legate all’invecchiamento della popolazione; dall’altro, si assiste a una progressiva contrazione della base fiscale su cui poggiano i sistemi di protezione. Morale. Ne deriva una pressione crescente sulla sostenibilità del welfare regionale, determinata appunto da una dinamica demografica strutturalmente sbilanciata.

I giovani umbri fuggono

Inoltre, a rendere ancora più fragile la presenza giovanile – e non è affatto un aspetto secondario – ci pensa anche la mobilità in uscita. Molti giovani umbri scelgono di lasciare la regione per trasferirsi altrove in Italia o all’estero, attratti da opportunità formative e lavorative che il contesto locale fatica a offrire. Si tratta di un fenomeno, che si protrae da anni e coinvolge in modo particolare la fascia tra i 20 e i 39 anni. I dati più solidi a nostra disposizione – riferiti al periodo 2001-2021 (Istat) – mostrano una perdita di oltre 26.000 residenti in questa classe di età. Un’emorragia silenziosa, ma costante: partono, anno dopo anno, senza che il territorio riesca davvero a trattenerli – e spesso, chi parte, non torna più.

Le ripercussioni sulla scuola

Uno dei primi ambiti in cui questa trasformazione si riflette in modo evidente è la scuola. Il sistema scolastico regionale, infatti, si è già contratto in modo significativo: in dieci anni sono scomparse centinaia di classi e decine di plessi, soprattutto nelle aree interne. Le scuole umbre hanno perso circa 9.000 studenti nell’ultimo decennio. Una riduzione di oltre il 7% che, al di là della cifra, si traduce in aule semivuote, sezioni accorpate, bambini costretti a spostarsi altrove per studiare. È dentro queste dinamiche, all’apparenza scolastiche, che si misura con chiarezza la portata del cambiamento demografico in atto.

Gli aspetti sociali

Ma in questo scenario, il rischio non riguarda soltanto la tenuta quantitativa della popolazione studentesca, ma l’indebolimento di una delle funzioni più vitali che i giovani assolvono nei territori: quella di tenere aperti gli spazi della cultura, della ricerca, dell’innovazione. Dove c’è presenza studentesca, infatti, il tessuto sociale si rinnova, si connette con il futuro, mantiene viva una dinamica di scambio e progettazione collettiva.

Il mercato del lavoro

Gravi anche le ripercussioni sul mercato del lavoro regionale. Meno giovani disponibili significa minore capacità di innovare, di adattarsi ai nuovi paradigmi tecnologici. Il tessuto imprenditoriale umbro, già fragile e fortemente orientato alla microimpresa, si espone così a un crescente rischio di obsolescenza. Il ricambio generazionale rallenta o si inceppa in molti ambiti strategici: nei mestieri, nella pubblica amministrazione, nelle libere professioni, nel settore artigiano.

In 10 anni l’Umbria perderà 47mila abitanti potenziali lavoratori

Tra dieci anni l’Umbria avrà oltre 47mila abitanti in meno di età compresa tra 15 e 64 anni. Perdendo dunque il 9% della propria potenziale forza lavoro. Dato peggiore della media italiana (-7,8%) e che avvicina pericolosamente l’Umbria alle dinamiche del Mezzogiorno, secondo le stime fatte dal Centro studi della Cgia di Mestre qualora l’andamento demografico non dovesse cambiare.

In Umbria oggi si contano 525.214 abitanti in questa fascia di età; nel 2035, proseguendo con l’attuale trend, scenderanno a 477.888.

La situazione in Italia

Il doppio della media italiana, che è del 7,8%, comunque molto rilevante. Procedendo con questo andamento demografico, l’Italia nel 2025 avrà 2,9 milioni di potenziali lavoratori in meno. Un trend comune a tutte le zone del Paese, ma con percentuali molto diverse. Nel Nord Ovest, infatti, si attende un calo del 4,5%, che nel Nord Est sale al 5,3%. Nel Centro la perdita di popolazione in età lavorativa sarà del 7,1% rispetto all’attuale. Crollo nel Mezzogiorno: oltre un milione e mezzo di popolazione in meno tra 15 e 64 anni, -12,2%.

Le province umbre

La situazione più preoccupante tra le due province umbre si ha a Terni, che occupa la posizione numero 28 in questa non invidiabile classifica dell’emorragia di potenziale forza lavoro. A Terni il calo stimato sarà dell’11,3%, perdendo quasi 15mila residenti tra 15 e 64 anni.

Perugia si colloca a metà classifica nazionale: 8,2% il calo di residenti in età lavorativa, pari a 32.500 residenti in meno in questa fascia si età.

Problemi anche per le imprese

La Cgia di Mestre evidenzia come nei prossimi anni le imprese siano destinate a subire dei contraccolpi molto preoccupanti.
Con difficoltà accresciute nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali. Tanto più che non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi.

Inoltre, viene sottolineato, nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà risolvere completamente la situazione. Di conseguenza, dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil, soprattutto nelle regioni e nelle province con un maggior calo demografico. A meno che le nuove tecnologie non determinino un radicale cambiamento dei processi produttivi. 

In Umbria green un’assunzione su 3 nell’ultimo anno

L’Umbria si conferma una delle regioni più dinamiche d’Italia nella corsa alla transizione ecologica. Al green è attribuibile il 34,8% delle assunzioni effettuate nella regione nel 2024.

Lo certificano i dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro: 22.470 posti di lavoro verdi su 64.540 assunzioni totali, un risultato che supera sia la media nazionale (34,3%) sia quella del Centro (32,2%). Meglio dell’Umbria, nel Centro, fanno solo le Marche (35,4%).

Un risultato che colloca la regione in posizione di assoluto rilievo, davanti a Lazio (32,3%) e Toscana (30,2%), e che racconta di un sistema produttivo sempre più orientato a investire in sostenibilità, risparmio energetico, bioedilizia, energie rinnovabili e gestione ambientale. Le imprese umbre dimostrano di aver compreso pienamente l’importanza della svolta verde, adattando i propri modelli di business alle nuove esigenze ambientali e sociali.

Green jobs: motore della nuova economia

I green jobs non sono solo i nuovi mestieri ambientali, ma comprendono tutte le figure professionali che richiedono competenze eco-compatibili, gestione sostenibile di prodotti e processi, capacità di integrare criteri ambientali nelle attività aziendali. Si tratta spesso di evoluzioni green di lavori tradizionali: tecnici edili specializzati nella bioedilizia, progettisti di impianti a basso consumo, esperti di sostenibilità nei settori agroalimentare, energetico e manifatturiero.

Nel 2024, secondo Excelsior, la domanda di green jobs a livello nazionale è stata pari a 1.891.990 su 5.516.280 assunzioni totali, un dato stabile rispetto al 2023 ma con una lieve flessione (-1,4%) sulla componente green. Nonostante questo, la richiesta di competenze ambientali è sempre più strategica e diffusa. La sostenibilità ambientale, infatti, è diventata un asset competitivo per le imprese, chiamate a rispondere sia alla pressione normativa europea sia alla crescente sensibilità dei consumatori.

Domanda alta, reperimento difficile: un problema urgente

In Umbria il 59,3% delle assunzioni green è di difficile reperimento, contro una media italiana del 53,8% e una media del Centro del 51,9%. Sono oltre 13.325 i posti green che rischiano di restare scoperti nel 2024, una delle percentuali più alte d’Italia insieme alle Marche.

La scarsità di candidati e la carenza di competenze specifiche sono le cause principali: in Umbria il 64,7% delle imprese richiede esperienze pregresse ai candidati green (67,9% in Italia, 66,1% nel Centro).

Le professioni più richieste comprendono tecnici specializzati, operai qualificati nella gestione eco-compatibile dei processi, esperti in bioedilizia, consulenti ambientali e figure per la gestione sostenibile delle filiere agroalimentari. La richiesta si estende anche ai tecnologi ambientali, agli installatori di impianti fotovoltaici, agli energy manager e ai tecnici della mobilità sostenibile.

Perugia più avanti di Terni

A livello provinciale, la provincia di Perugia mostra una maggiore vivacità green: 17.850 assunzioni green su 50.600 programmate (35,5%), contro le 4.629 su 13.940 di Terni (33,1%). Anche la difficoltà di reperimento è più alta a Perugia (60,1%) rispetto a Terni (56%).

Quanto alla richiesta di esperienza specifica, il quadro si inverte: a Terni il 68,8% delle assunzioni green richiede esperienza, a Perugia il 63,7%.

Il divario tra le due province evidenzia come le dinamiche territoriali della transizione verde siano influenzate anche dalla struttura produttiva locale e dalla capacità dei sistemi formativi di rispondere ai nuovi fabbisogni.

Giovani protagonisti della transizione verde

Un segnale incoraggiante arriva dai giovani: in Umbria il 29% delle assunzioni green riguarda under 29, superando sia la media nazionale (27,2%) sia quella del Centro (27,8%). Un dato che mostra come la transizione verde possa essere una leva di sviluppo per le nuove generazioni, a patto di investire su ITS Academy, orientamento scolastico e percorsi universitari mirati.

La capacità di attrarre giovani verso le professioni green rappresenta una sfida strategica per garantire all’Umbria una crescita economica inclusiva, sostenibile e proiettata al futuro.

Mencaroni: Umbria protagonista della transizione ecologica italiana

Dati e dinamiche che Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, commenta così: “Il dato sulle assunzioni green conferma che l’Umbria è pienamente protagonista della transizione ecologica italiana. Siamo soddisfatti di vedere le nostre imprese in prima linea, capaci di anticipare i cambiamenti e investire in nuove competenze. Tuttavia, la difficoltà di reperire profili adeguati deve far riflettere. Serve un impegno straordinario sul fronte della formazione tecnica e specialistica: ITS Academy, scuole e università devono essere accompagnate in un grande piano di aggiornamento e orientamento. Non possiamo permetterci che migliaia di opportunità di lavoro green vadano perse. L’Umbria ha tutte le carte in regola per diventare un modello nazionale di sviluppo sostenibile, ma la sfida delle competenze è ora e non può essere rimandata.”

Pasqua e Pasquetta di lavoro per quasi 57mila umbri

Un umbro su cinque, tra coloro che hanno un impiego, ha trascorso le vacanze di Pasqua e Pasquetta. Così come gran parte dei giorni festivi durante l’anno, o almeno a turno con i colleghi.

Secondo le stime della Cgia di Mestre, quasi 57mila umbri ha lavorato in questi giorni di festa. Appunto, circa il 20% dei lavoratori della regione.

Una percentuale in linea con la media italiana (20,4%), in un’Italia che vede i sardi lavorare maggiormente durante le feste (quasi il 27%) e i lombardi di meno (16,3%).

In tutta Italia, sempre secondo la stima della Cgia di Mestre, hanno lavorato nei giorni di Pasqua e Pasquetta quasi 5 milioni di italiani.

La condizione delle donne lavoratrici, dati e prospettive

“La condizione delle donne lavoratrici in Umbria” è il tema affrontato nel convegno moderato da Luca Ginetto, caporedattore Rai TGR Umbria, organizzato da INPS e INAIL dell’Umbria insieme alla Direzione interregionale Lavoro Centro e all’Ispettorato territoriale Lavoro di Perugia.

Queste tematiche sono state oggetto di approfondimenti e riflessioni da parte dei tre Enti, cui è attribuito il compito di attuare le previsioni di legge in materia di opportunità, rispetto, legalità e sicurezza delle donne che lavorano.

Dopo i saluti istituzionali di Letizia Michelini, consigliera regionale dell’Assemblea legislativa dell’Umbria, di Vittoria Ferdinandi, sindaca di Perugia e di Lorenzo Falistocco, consigliere del Comune di Perugia, che hanno concordemente sottolineato come il tema della lotta alle diseguaglianza e discriminazioni, comprese quelle di genere, sia al centro delle rispettive agende istituzionali, l’iniziativa è entrata nel vivo e si sono susseguiti gli interventi “tecnici” dei rappresentanti dei tre Enti promotori.

Stefano Marconi, direttore della DIL Centro, ha presentato lo scopo dell’iniziativa che punta a portare sinergicamente all’attenzione i dati rilevati in Umbria dei fenomeni discriminatori e la dimensione delle irregolarità per mancato rispetto delle disposizioni poste a tutela anche della componente femminile della popolazione lavorativa. Ha sottolineato, insieme al direttore dell’Ispettorato di Perugia, Andrea Benedetti, l’importanza della conciliazione quale strumento per favorire la regolarizzazione delle posizioni e sostenere al contempo il processo di trasformazione e necessario adeguamento anche culturale in tema di parità.

Per questo è stato nel loro intervento richiamato il ruolo e la collaborazione della consiglierà di Parità, figura di raccordo a supporto delle istanze dei lavoratori rispetto alle aziende e Istituzioni. Nei successivi interventi sempre del personale dell’INL, i responsabili funzionari Eugenio Eranio Boccafurni, Marcello Cadavéro e Terenzio Jacopo, sono state presentate le principali inadempienze riguardo al divieto di discriminazione tra generi e alcuni casi emblematici che la magistratura, nei diversi gradi di giudizio, ha ridefinito quale faro illuminante per un’applicazione più efficace in termini di reale inclusione della persona e contro ogni forma di asimmetria discriminatoria nei confronti delle donne e delle minoranze. Inoltre, gli Uffici hanno illustrato la condizione delle lavoratrici in Italia e in Umbria, che si vedono costrette a rassegnare le dimissioni dal proprio posto di lavoro per esigenze famigliari mentre, nel caso degli uomini, le dimissioni nei primi anni di vita del figlio sono motivate prevalentemente da esigenze di carriera perché hanno maggiori opportunità di impiegarsi in differenti imprese. Tutto ciò nonostante la Regione Umbria si distingua per un numero di strutture di cura dei minori da 0 a 2 anni superiore alle media nazionale.

Inps ha portato la testimonianza del CUG nazionale che, con la presidente Maria Giovanna De Vivo, ha rappresentato come le politiche dell’Istituto previdenziale siano nel tempo rivolte a realizzare concretamente la necessaria attenzione alle condizioni di parità e inclusione sia interna del personale, che riguardo ai rapporti con i cittadini. Il direttore regionale Antonio Maria Di Marco Pizzongolo ha presentato un progetto recentemente attivato con il personale delle sedi Inps in Umbria di buona pratica per la contaminazione culturale volta all’equo coinvolgimento dei due generi nell’azione posta a superare le discriminazioni. Altrettanto ha richiamato la consigliera del CUG Rossella Dominici, presentando i protocolli INPS-Centri antiviolenza avviati in regione. Trattasi in entrambi i casi di iniziative concrete che vanno verso la maggiore efficacia nella tutela della donna e della parità di genere. La dirigente della Direzione regionale Inps Umbria, Roberta Cuccagna, ha concluso richiamando il fenomeno pensionistico nelle dinamiche di dettaglio che evidenziano una oggettiva disparità nei trattamenti uomo/donna derivante da una contribuzione discontinua e meno piena, che vede le donne più svantaggiate rispetto agli uomini.

Inail Direzione regionale Umbria, con la presenza del direttore regionale Alessandra Ligi, ha presentato i dati sull’andamento infortunistico al femminile, con attenzione agli infortuni in itinere e a quelli collegati alle molestie, violenze e stress lavorativo, fenomeni che risultano in aumento in particolare nella componente femminile della forza lavora e in particolare nel comparto cura della persona, sanità professioni helper.

Il dirigente Medico Inail, Marina Giuliani, ha richiamato la portata innovativa della medicina di genere nell’ambito degli interventi di prevenzione anche dei rischi lavorativi e l’importanza di effettuare all’interno degli ambienti di lavoro la valutazione dei rischi distinguendo la differente esposizione in ragione dei due generi atta a garantire la piena tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

La consigliera di parità della Regione Umbria Rosita Garzi ha tracciato le conclusioni, sottolineando che più che di un bilancio definitivo rispetto ai temi posti durante la giornata, quanto emerso ha aperto ulteriori interessanti spazi di approfondimento e conseguenti azioni positive. Il valore del convegno, ha rimarcato, è stato quello di avere messo a sistema tanti elementi di utile dettaglio informativo e ha apprezzato il metodo adottato che intenderebbe proporre a tutti di replicare attivando un Tavolo comune dedicato a questi temi e che abbia il carattere della concretezza e punti a fornire una conoscenza puntuale e condivisa dei reali bisogni e attese dei cittadini in materia di eguaglianza equità e parità di trattamento anche nel lavoro.