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L’Umbria tra le regioni dove il lavoro dà più soddisfazione

L’Umbria tra le regioni dove il lavoro dà maggiori soddisfazioni. Lo rileva una elaborazione della Cgia, che pone il Cuore verde d’Italia al quarto posto nell’indice di soddisfazione espresso dai lavoratori.

La propria occupazione piace (dal punto di vista economico, del riconoscimento, per l’opportunità di carriera, numero di ore lavorate, stabilità del posto, ma anche distanza da casa e soprattutto per l’interesse per ciò di cui ci si occupa, a 234mila umbri, pari al 58,2% del totale. Più “felici” sono solo i lavoratori di Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige, dove la percentuale supera il 60%.

Una soddisfazione percepita che in Umbria continua a migliorare. Rispetto al periodo pre Covid (il 2019), sono il 19,5% in più gli umbri soddisfatti del proprio lavoro.

In Italia

Dallo studio emerge che in Italia sono 12,2 milioni gli addetti che hanno dichiarato di “amare” il proprio lavoro, pari al 51,7% del totale degli occupati presenti nel Paese. A livello regionale la Valle d’Aosta si è posizionata al primo posto nella classifica nazionale con il 61,7% degli occupati (in valore assoluto pari a 70mila persone); sono persone che hanno dichiarato una significativa soddisfazione professionale. Seguono la Provincia Autonoma di Trento con il 61,1% (161mila) e quella di Bolzano con il 60,5 (170mila). Subito sotto il poco si collocano appunto l’Umbria l’Umbria con il 58,2 (234mila), il Piemonte con il 57,1 (poco più di un milione) e le Marche con il 55,4 (370mila).

La qualità del lavoro

Diverso è invece il livello della qualità del lavoro, calcolato dall’Ufficio studi della Cgia sulla base di una serie di indicatori oggettivi. L’Umbria scivola verso il Sud, nella parte medio-bassa della classifica, facendo meglio solo dell’Abruzzo tra le regioni al di fuori del Meridione.

Incidono negativamente il livello di gravi incidenti sul lavoro (per i quali l’Umbria è maglia nera) e l’alto numero di occupati sovraistruiti. Per contro, il posto di lavoro in Umbria è percepito come sufficientemente stabile e, appunto, in grado di dare soddisfazione.

“Protocollo sicurezza e qualità del lavoro”, Uil in audizione in Regione

La Seconda e la Terza commissione dell’Assemblea legislativa si sono riunite in seduta congiunta per l’audizione dei rappresentanti della Uil Umbria, che hanno presentato il “Protocollo regionale per la sicurezza e la qualità del lavoro negli appalti pubblici della Regione Umbria”.

Il segretario generale della Uil Umbria, Maurizio Molinari, ha parlato delle difficoltà dei lavoratori delle cooperative, anche per chi ha un contratto a tempo indeterminato, a “passare attraverso trattative lacrime e sangue non per quanto c’è scritto sul capitolato d’appalto, ma per l’utilizzo del criterio del massimo ribasso, che riduce il margine delle cooperative e gli stipendi stessi, lasciando i lavoratori alle prese con grandi disagi in quanto, nonostante titolari di una posizione lavorativa si trovano in difficoltà anche per ottenere risorse dagli istituti di credito, rimanendo nella impossibilità di affrontare il proprio futuro. Con il protocollo che presentiamo all’attenzione dell’Assemblea legislativa noi vogliamo ridare dignità al lavoro e garantire anche la sicurezza di chi lavora, quindi no al massimo ribasso o a gare prive di certificazioni adeguate. E in corso d’opera vi sia la possibilità che l’appalto possa essere ritirato. La legge ‘2/2024’ ha bisogno di fare un passo avanti. Chi ha un contratto a tempo indeterminato deve avere la stessa busta paga indipendentemente dal cambio di appalto, non dover ricominciare daccapo senza nemmeno sapere se il giorno dopo lavorerà. Il protocollo, firmato da tutti i capigruppo in Regione, è di enorme importanza, andiamo fino in fondo, integriamo la legge e facciamo un salto di qualità, saremmo la prima Regione a mettere in campo una legge che ridà dignità ai lavoratori ora privi di certezze quando cambia l’appalto”.

Il protocollo

La Regione, in qualità di stazione appaltante, dovrà esaminare gli appalti dando luogo ad incontri preventivi. Dovrà essere prevista l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e integrativi, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente e maggiormente rappresentative sul piano nazionale, questo risulterà utile anche per affrontare il dumping contrattuale, un problema da affrontare concretamente. Per quanto concerne l’edilizia va prevista l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa edile. La clausola sociale deve essere vincolante per tutte le stazioni appaltanti, sempre orientata alla stabilità occupazionale e al riassorbimento del personale. Va superato il criterio del massimo ribasso a fronte di un ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Va anche arginato il ricorso al subappalto, possibile causa di situazioni di frammentazione delle responsabilità e l’indebolimento delle tutele lavorative e previdenziali. La parte pubblica deve riconoscere l’importanza della tracciabilità nei cantieri quale presidio di legalità, sicurezza e regolarità contributiva. Nei capitoli speciali di appalto relativi a lavori pubblici va dunque inserito l’obbligo di applicazione delle procedure del ‘Cantiere trasparente’. Ogni cantiere dovrà essere tracciabile, vigilato, regolamentato e abitato da lavoratori consapevoli, protetti, formati e dignitosamente retribuiti. Altri punti cardine saranno quelli della trasparenza, del contrasto totale alle infiltrazioni della criminalità, la regolarità contributiva e pagamenti e retribuzioni dignitose.

Molinari: il nostro un intento costruttivo

Questo il commento del segretario della Uil Umbria, Maurizio Molinari: “E’ iniziato, con la nostra audizione, il percorso che ha portato il Protocollo regionale per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro elaborato dalla Uil, all’attenzione della Regione. Abbiamo infatti partecipato all’incontro con la Seconda e la Terza commissione di Palazzo Cesaroni, spiegando quanto il nostro intento sia costruttivo: dare una direzione che possa anche essere la base per nuova normativa in grado di incidere anche sulla giungla degli appalti, che poi si ripercuote sulla sicurezza sul lavoro. L’obiettivo è quello ridare dignità al lavoro”.

“Ringraziamo tutti i capigruppo che avevano firmato la proposta, i presidenti delle Commissioni Letizia Michelini e Luca Simonetti e tutti i consiglieri che hanno partecipato all’incontro, per lo spirito costruttivo dimostrato che mette al centro l’obiettivo e non la bandierina politica. Auspichiamo dunque che il percorso possa andare avanti, con il contributo di tutti i portatori di interesse, a tutela del lavoro e dei lavoratori e affinché la nostra Regione possa essere di nuovo un esempio per buone pratiche. Da parte nostra – assicura Molinari – ci sarà il massimo dell’attenzione, della disponibilità e della sensibilità per un lavoro aperto, inclusivo e concreto che porti risultati tangibili quanto prima”.

In Umbria 371mila lavoratori non in regola

Degli oltre 371mila occupati in Umbria, più di 35mila sono irregolari. La Cgia stima una percentuale di irregolarità del 9,5%. In una classifica negativa guidata dalla Calabria e che conta in tutta Italia quasi 2 milioni e mezzo di irregolari (per una media del 9,7%).

Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva. In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.200 abitanti della Campania.

Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17,1%. Seguono la Campania con il 14,2%, la Sicilia con il 13,6% e la Puglia con il 12,6%.

(immagine generica d’archivio)

Fp Cgil Terni, eletta la nuova Segreteria provinciale

Eletta la nuova Segreteria provinciale della Fp Cgil di Terni. Ne fanno parte, insieme al segretario generale Andrea Pitoni, Roberto De Cesaris (confermato) e Carolina Galeazzi (confermata).

Ai lavori dell’Assemblea erano presenti il segretario generale della Cgil di Terni, Claudio Cipolla, e la segretaria regionale della Fp Cgil Umbria, Desiree Marchetti.

La platea degli iscritti ha ringraziato Valentina Porfidi, segretaria generale uscente, “per l’importante lavoro svolto negli ultimi anni in favore della categoria e per la sua disponibilità ad assicurare ancora la propria collaborazione”.

“La proposta della segreteria appena insediata – spiegano da Fp Cgil Terni –, che è stata approvata con diciotto voti favorevoli e uno contrario, renderà più efficace l’azione politica e sindacale, visto il contesto internazionale sconvolto dalla questione palestinese, nel contrastare la crescita delle risorse economiche da destinare al riarmo, a detrimento dello stato sociale. Inoltre, il lavoro sarà incentrato sulle questioni della sanità pubblica, dei rinnovi contrattuali, della difesa del potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici, infine dell turn over nella Pubblica amministrazione”.

Settore privato, così la dinamica delle retribuzioni in Umbria

A fronte di retribuzioni orarie nel settore privato non agricolo (PNA) che in Italia nel 2023 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati ufficiali Inps regionali) sono cresciute del 2,1% in termini nominali (5,7% secondo l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, NIC), in Umbria l’aumento è stato leggermente superiore.

Nel 2024, secondo i dati informali contenuti nell’ultima relazione della Banca d’Italia, le retribuzioni di fatto hanno continuato ad aumentare (del 2,9%). Informazioni preliminari a livello territoriale per il 2024 possono essere tratte dai contratti collettivi nazionali per la componente base della retribuzione effettiva (integrabile con accordi di secondo livello o erogazioni una tantum).

In Italia questa componente è aumentata del 4,0% nel settore PNA (a fronte di un’inflazione dell’1,0 secondo l’indice NIC). Vi hanno contribuito sia gli incrementi già previsti dagli accordi vigenti sia i rinnovi di alcuni importanti contratti collettivi (in particolare quelli del commercio, del credito, degli alberghi
e degli studi professionali).

Alla fine del 2024 le retribuzioni contrattuali italiane in termini reali rimanevano comunque inferiori del 9% circa, in media, rispetto ai livelli del 2021. Gli adeguamenti salariali previsti dai contratti collettivi
nazionali determinano una dinamica media eterogenea a livello territoriale, che riflette il diverso peso dei comparti contrattuali sul monte retributivo locale.

In base a stime della Banca d’Italia su dati di INPS e Istat, in Umbria la crescita media sarebbe stata in
linea con quella registrata nel Paese. A fronte del positivo effetto degli adeguamenti disposti nel comparto della metalmeccanica, che in regione ha un peso superiore alla media nazionale, la dinamica complessiva ha risentito della minore incidenza degli altri settori caratterizzati dagli incrementi retributivi più elevati, come quelli della chimica e del credito.

Enel Green Power, presidio contro la chiusura del PT di Terni

Presidio di fronte alla sede di Enel Green Power di Terni organizzato da Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil Umbria.

I segretari generali Stefano Ribelli (Fitctem Terni), Ciro Di Noia (Flaei Umbria) e Doriana Gramaccioni (Uiltec Umbria) hanno ribadito, di fronte ai lavoratori presenti e ai giornalisti, che vogliono scongiurare la chiusura del centro di teleconduzione di Terni, che “secondo quanto comunicatoci dall’azienda dovrebbe avvenire alla fine di questo mese”.

“Non ci possiamo permettere la perdita di un centro importante come questo – affermano i segretari -, anche perché si tratta dell’ultimo centro direzionale Enel in Umbria. Se ciò avvenisse, vorrebbe dire che la nostra regione subirà un ulteriore ridimensionamento. Questa scelta, infatti, si va ad aggiungere alla perdita della direzione Area Rete su Perugia (acquisita a suo tempo dalla Marche), allo spostamento della direzione, all’incertezza sul futuro industriale ed al ridimensionamento dei livelli occupazionali di Pietrafitta (malgrado il nuovo impianto manca una visione industriale per il futuro) , alla chiusura dell’impianto di Bastardo (che negli anni ’90 occupava circa 240 unità più l’indotto, ad oggi senza alcun futuro) e alla chiusura sempre su quel territorio del polo di eccellenza di formazione dell’Enel – il Nucleo Addestramento Specialistico a Gualdo Cattaneo. Passando agli assets ternani, oltre alla chiusura del laboratorio misure e prove e teletrasmissioni abbiamo assistito ad un grande ridimensionamento della forza lavoro delle officine di Manutenzione Specialistica che si occupa di manutenzione a livello nazionale (un tempo si contavano 150 unità e oggi meno di 20). In questo caso – informano – abbiamo subito un’esternalizzazione delle attività a vantaggio di aziende esterne prevalentemente di fuori regione. Oltre a questo, sempre sul ternano – aggiungono i segretari -, c’è stata una riduzione anche del personale che presidia e gestisce la manutenzione degli impianti dell’asset della nostra realtà. Questo si riflette sulla sicurezza degli operatori e sulla sicurezza idraulica del territorio. Se venisse meno la conoscenza degli impianti che hanno i lavoratori del posto di teleconduzione sarebbe un aggravante ed un ulteriore rischio per gli operatori degli impianti e delle dighe soprattutto nella gestione delle emergenze idriche (piene e maltempo)”.

Alla luce di tutto questo, i sindacati dicono “no” ad un’ulteriore depauperamento del territorio “effettuato da Enel in modo unilaterale. Noi – affermano – chiediamo per questo la creazione di un tavolo partecipativo e fattivo con le istituzioni locali, regionali e nazionali, per far sì che l’azienda torni ad investire in maniera concreta in Umbria. Chiediamo inoltre a tutte le forze istituzionali, alla Regione in particolare, quale proprietaria della concessione, di lavorare ad un percorso con Enel diverso da quello intrapreso fino ad oggi, in modo che siano incrementati gli investimenti nel nostro territorio con l’obiettivo di accrescere le funzioni attualmente presenti ed aumentare i livelli occupazionali e lo sviluppo del territorio ternano. Dobbiamo tornare al nostro prestigioso passato: per troppo tempo abbiamo assistito all’allontanamento dall’Umbria di centri direzionali e produttivi da parte di molteplici aziende (alcune a partecipazione statale). Tutto questo non possiamo più tollerarlo ma, soprattutto, non possiamo più permettercelo. Oggi, qui, con questo presidio che ha visto una larga partecipazione dei lavoratoti e delle lavoratrici di Enel Green Power, Filctem, Flaei, Uiltec, ribadiscono la loro assoluta contrarietà alla chiusura del posto di teleconduzione di Terni”. Esortando ad una “battaglia istituzionale” a difesa del PT di Terni.

Parla di “scelta miope e dannosa per il territorio” la parlamentare Emma Pavanelli. Presente al presidio insieme all’assessore regionale Thomas De Luca, che a sua volta ha attaccato: “Non siamo ospiti a casa nostra. Metteremo in campo, sin dai prossimi giorni, tutte le iniziative per far rispettare il territorio a cominciare da una ricognizione di tutti gli impianti che sono di proprietà della Regione”.

“La chiusura unilaterale del Posto di Teleconduzione è nei fatti un atto di aggressione irricevibile del nostro territorio – ha proseguito l’assessore De Luca – in particolare verso l’Umbria meridionale che negli ultimi decenni è stata spogliata di asset strategici fondamentali. Un’azione che crediamo sia direttamente conseguente alle scelte della Regione Umbria in merito alle grandi derivazioni idroelettriche sulle future concessioni. Vogliamo rassicurare il concessionario che non faremo nessun passo indietro. Riteniamo che Enel sia un player di fondamentale importanza anche in ottica delle future gare, ma la nostra determinazione a difendere la sicurezza e il futuro del territorio umbro viene prima di tutto. Se Enel volesse andare avanti su questa strada, noi ricostituiremo il Punto di Teleconduzione subito dopo il reingresso della Regione Umbria all’interno della gestione delle centrali”.

Per De Luca il Posto di Teleconduzione di Terni “è un presidio irrinunciabile a tutela strategica del nostro territorio, un baluardo di sicurezza fondamentale”.

In chiusura, l’assessore De Luca ha proposto l’apertura di una cabina di regia con il coinvolgimento dei parlamentari umbri e anche dei membri del governo in cui il punto di partenza sarà la ricognizione di tutti gli impianti del territorio: “La nostra posizione è chiara e ferma: continuiamo a combattere questa chiusura con ogni mezzo disponibile. Se si aprono contenziosi con il territorio andranno affrontati e risolti. Sarà, inoltre, nostra premura inserire nei prossimi capitolati un vincolo di localizzazione in Umbria delle infrastrutture e delle risorse umane utili alla conduzione degli impianti”.

In 6 anni l’economia orvietana ha perso 500 posti di lavoro

Oltre cinquecento posti di lavoro persi dal 2019 al 2015. Un lasso di tempo passato in rassegna dall’ultima analisi statistica effettuata da Matteo Tonelli, per Cts, Cittadinanza., territorio, sviluppo.

Le imprese sono diminuite in misura contenuta, passando da poco più di duemila nel 2019 a meno di duemila nel 2025, ma dietro questa stabilità numerica si nasconde una dinamica molto più problematica: il numero di addetti si è ridotto di quasi mezzo migliaio. In altre parole, le aziende resistono ma occupano meno persone, diventano più leggere e spesso riducono le loro dimensioni operative. È un segnale di progressiva fragilità che rischia di incidere sulla capacità della città di generare reddito e mantenere coesione sociale.

La fotografia dei settori è ancora più eloquente. Il manifatturiero rappresenta la vera area critica: il numero delle imprese è calato solo leggermente, ma gli addetti sono crollati di quasi il 40%. È il segnale di una deindustrializzazione che lascia dietro di sé strutture svuotate e competenze disperse. Anche l’agricoltura soffre, con un calo di manodopera di quasi un quinto: le imprese restano, ma sempre più ridotte e spesso senza un adeguato ricambio generazionale.

In controtendenza si muovono invece le costruzioni e il settore immobiliare, che hanno conosciuto anni di forte vitalità, legata soprattutto alle misure di incentivo edilizio e al crescente bisogno di riqualificazione urbana. Il commercio racconta una storia diversa: meno negozi ma più addetti. Si riducono i punti vendita di prossimità, cresce la concentrazione nelle catene e nelle strutture organizzate. È un processo che cambia il volto dei centri storici, con un impatto diretto sulla vita quotidiana.

Più incoraggianti i segnali dal turismo e dalla ristorazione: dopo lo shock del covid, il settore ha ripreso vigore, riportando l’occupazione a crescere e consolidando Orvieto come meta culturale ed enogastronomica.

Infine, il comparto dei servizi professionali mostra una crescita lenta ma costante: sempre più imprese e addetti operano nella consulenza e nelle attività legate alla conoscenza.

Se queste tendenze dovessero proseguire senza correttivi, nel 2030 Orvieto conterebbe meno di 1.900 imprese e poco più di 6.700 addetti. Una riduzione non drammatica nei numeri assoluti, ma che conferma la traiettoria di fondo: il sistema economico diventa progressivamente più frammentato, con imprese piccole e con poca forza lavoro. Si rischia così di accentuare la fragilità sociale ed economica, con meno opportunità per i giovani e una dipendenza crescente da pochi settori.

Mentre l’Umbria nel suo complesso ha conosciuto negli ultimi due anni una fase di crescita, con un tasso di occupazione che ha superato la media nazionale, Orvieto ha continuato a perdere addetti. L’Italia, nel 2024, ha aggiunto oltre 350mila occupati, mentre la città ha registrato un calo anche nei mesi più recenti. Alcuni andamenti locali si muovono però in linea con le dinamiche macro: le costruzioni hanno beneficiato del boom nazionale dei bonus edilizi; il turismo, in forte crescita in tutta l’Umbria, ha avuto effetti positivi anche ad Orvieto. Ma la manifattura locale soffre più che altrove, e l’agricoltura conferma le difficoltà comuni a livello nazionale, con margini sempre più stretti e un problema serio di ricambio generazionale.

Lavoro, l’Umbria tra le regioni dove è più difficile reperire manodopera

L’Umbria è sul podio, non certo invidiabile, delle regioni italiane dove gli imprenditori fanno più fatica a trovare le figure che vogliono assumere. Un problema che si presenta nel 55% delle assunzioni programmate. Fenomeno inferiore solo a quello che si registra in Trentino Alto Adige (56,5%) e in Friuli Venezia Giulia (55,3%). A fronte di una media italiana che è del 47,8%.

Nelle province

L’analisi della Cgia valuta il fenomeno nei territori, analizzando i dati delle province. Perugia è la nona in Italia, con la difficoltà di reperimento che raggiunge il 55,1%. Meno peggio Terni, dove il fenomeno riguarda il 54,5% delle assunzioni programmate.

Guardando al resto d’Italia, Pordenone è la provincia dove gli imprenditori faticano più di tutti gli altri colleghi d’Italia a trovare un lavoratore dipendente; nel 2024 la difficoltà di reperimento della realtà friulana è stata del 56,8%. Seguono Bolzano e Trento con il 56,5, Gorizia con il 56,1 e Cuneo con il 55,9.

Caserta con il 39,3%, Salerno con il 38,3 e, infine, Palermo con il 36,9 sono i territori dove è più facile reperire la manodopera richiesta.

Le figure introvabili

La Cgia mostra come il problema riguardi soprattutto operai specializzati, in ogni settore. Nell’edilizia mancano carpentieri, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, pavimentatori/piastrellisti, palchettisti e gruisti/escavatoristi. Nel comparto del legno sono quasi introvabili i verniciatori, gli ebanisti, i restauratori di mobili antichi e i filettatori attrezzisti. Nel tessile-abbigliamento si faticano ad assumere modellisti, confezionisti e stampatori. Nel calzaturiero, invece, tagliatori, orlatori, rifinitori e cucitori. Nella metalmeccanica, infine, la maggiore difficoltà di reperimento riguarda tornitori, fresatori, saldatori certificati, operatori di macchine a controllo numerico computerizzato e i tecnici di
montaggio per l’assemblaggio dei componenti complessi.

La ricerca di operai specializzati

Sempre secondo l’elaborazione della Cgia, nel 2024, su un totale di 5,5 milioni di nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro, quasi 840 mila (pari al 15 per cento del totale delle entrate attese) hanno riguardato operai specializzati. La ricerca di queste figure si è rivelata particolarmente impegnativa: nel 63,8% dei casi, infatti, gli imprenditori hanno segnalato notevoli difficoltà nel reperimento e, quando la selezione ha avuto esito positivo, il processo ha richiesto in media quasi cinque mesi. Nessun’altra professione richiesta dalle aziende ha evidenziato livelli di difficoltà e tempi di ricerca superiori a quelli riscontrati per gli operai specializzati.

In Umbria da qui al 2029 quasi 45mila lavoratori da sostituire

In Umbria da qui al 2029 si dovranno sostituire circa 44.800 lavoratori (di cui 20.100 del settore privato) che andranno in pensione o comunque lasceranno la propria occupazione per dedicarsi ad altro. E’ la stima fatta dalla Cgia, valutando i futuri pensionamenti e gli abbandoni.

Un fenomeno che si stima in Italia interesserà poco più di 3 milioni di lavoratori, pari al 12,5% circa del totale nazionale. Ponendo problematiche di natura sociale ed economica. Certo, occorre anche considerare la velocità con cui sta cambiando il lavoro in alcuni settori, soprattutto quelli a più alto contenuto tecnologico o di automatizzazione. Basti pensare all’impatto che si stima avrà nei prossimi anni nel mondo del lavoro l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

A livello nazionale, oltre 7 sostituzioni su 10 interesseranno il settore di servizi, con uscite particolarmente importanti nel commercio (379.600 unità), nella sanità pubblica/privata (360.800) e nella Pubblica Amministrazione (331.700). Nell’industria, la Cgia segnale il numero di rimpiazzi a cui dovrà essere sottoposto il comparto delle costruzioni (179.300).

L’Umbria risulta a tranche le regioni con un indice di anzianità dei dipendenti del settore privato superiore alla media nazionale. Il rapporto tra gli over 55 egli under 35, che appunto per convenzione fissa questo indice, in Puglia è di 73.3, a fronte di una media italiana che è di 65.2.

Così è cambiata la presenza delle donne nelle imprese umbre negli ultimi dieci anni

Aumentano nelle aziende umbre le donne dipendenti non familiari. Un segno di vera crescita, come sottolinea la Camera di commercio dell’Umbria, che ha analizzato le dinamiche nella regione nell’ultimo decennio.

Spiega Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “I dati dimostrano che l’imprenditoria femminile umbra, pur riducendosi numericamente, ha saputo crescere in qualità, struttura e occupazione. È un segnale di maturità che dobbiamo valorizzare: le imprese guidate da donne sono oggi più solide, meno legate al nucleo familiare e più aperte a competenze esterne, capaci quindi di affrontare le sfide del mercato globale. Tuttavia, restano barriere che non possiamo ignorare: l’accesso al credito, la burocrazia e la difficoltà di consolidare le attività nel tempo. Per questo la Camera di Commercio dell’Umbria continuerà a sostenere percorsi di formazione, digitalizzazione e certificazione di parità, strumenti essenziali per rendere l’impresa femminile un pilastro sempre più forte del nostro sviluppo economico e sociale. La crescita dell’Umbria passa anche dalla crescita delle sue imprenditrici”.

Meno imprese ma più robuste
Il decennio 2015-2025 ridisegna la geografia delle imprese femminili in Umbria. Se da un lato il numero complessivo cala – da 20.789 a 19.633, pari a -5,6% – dall’altro la solidità delle aziende “rosa” cresce. Gli addetti crescono da 49.594 a 52.563, con un incremento del 6% che segnala un percorso di consolidamento. Aumenta soprattutto la dimensione media: 2,68 addetti contro i 2,39 del 2015, +12,1%, un progresso ben superiore alla media nazionale (+8,7%).

È un segnale importante: le imprese femminili umbre restano più piccole delle maschili (4,14 addetti medi), ma accorciano le distanze. E soprattutto smettono di poggiare quasi esclusivamente sulla famiglia, aprendo a nuove forme di occupazione.

Un cambio culturale evidente
Dentro questi numeri si legge un cambiamento di prospettiva. In dieci anni gli addetti familiari si riducono del 15,7% (da 20.670 a 17.416), mentre crescono con forza gli addetti non familiari (+17,7%, da 28.924 a 35.147). Significa che sempre più imprenditrici scelgono di affidarsi a competenze esterne, assumendo dipendenti veri e propri. Una tendenza che, in proporzione, è quasi doppia rispetto a quella delle imprese maschili (+9,5%).

Il risultato è chiaro: meno attività a stretta conduzione familiare, più imprese professionalizzate. È un salto di qualità che cambia la natura del tessuto produttivo “rosa”, rendendolo più competitivo e pronto ad affrontare sfide complesse.

La sfida della sopravvivenza
Resta però un punto debole: la durata delle imprese femminili. I dati Unioncamere mostrano che a 5 anni dalla nascita sopravvive il 72,3% delle aziende “rosa”, contro il 77,3% di quelle maschili; oltre i 5 anni la distanza si allarga, 67,5% contro 73,1%. Un segnale che richiama l’urgenza di strumenti di accompagnamento più forti, per aiutare le imprese femminili a consolidarsi nel tempo.

Eppure, nonostante le difficoltà, le imprese femminili continuano a rappresentare un quarto del tessuto imprenditoriale umbro, con un peso leggermente sceso, in Umbria, dal 25,7% al 25,3%. Un dato che non toglie rilevanza al loro ruolo, sempre più centrale nelle dinamiche economiche locali.

Il nodo del credito
Altro fronte cruciale è quello del finanziamento. Solo poco più di un terzo delle imprese femminili ricorre a prestiti bancari, una quota simile a quella maschile. Ma le modalità di avvio mostrano una forte differenza culturale: tre imprenditrici su quattro iniziano con capitali personali o familiari, mentre solo una su quattro utilizza prestiti bancari (26,9% contro il 22,4% degli uomini).

L’uso di strumenti innovativi come business angels, venture capital o crowdfunding è marginale: meno dell’1%. Una scelta che garantisce autonomia finanziaria, ma che limita la possibilità di scalare i mercati. È qui che si gioca una partita decisiva per il futuro: aprirsi a fonti di capitale diversificate è ormai condizione indispensabile per crescere in un contesto competitivo globale.

Burocrazia e incentivi
Alle difficoltà di accesso al credito si sommano quelle legate agli incentivi pubblici. Oltre la metà delle imprese segnala ostacoli burocratici. Una imprenditrice su tre lamenta la complessità delle pratiche, mentre più di una su dieci sottolinea le attese troppo lunghe per ricevere concretamente i fondi.

Questa rigidità amministrativa rischia di vanificare l’impatto delle politiche pubbliche, soprattutto per le realtà più piccole, che non hanno uffici dedicati a seguire pratiche e scadenze. In molti casi, la burocrazia diventa un ostacolo alla competitività, più che uno strumento di sostegno.

Certificazione di parità in crescita, ma con ampi margini di miglioramento
Un segnale incoraggiante arriva dalla certificazione della parità di genere, introdotta dal PNRR e gestita da Unioncamere. A livello nazionale le imprese certificate sono passate dalle poche decine del 2022 alle 7.960 del 2025. Un progresso significativo, ma che riguarda ancora una quota molto limitata del tessuto produttivo italiano.

Considerato che in Italia le imprese femminili attive sono oltre 1,3 milioni, la certificazione oggi interessa solo una minoranza e lascia dunque ampi margini di crescita. Rafforzare questo strumento non significa solo ridurre il gender gap, ma anche rendere più trasparenti i processi interni, aumentare la reputazione e migliorare la competitività delle aziende, creando un ambiente più attrattivo per talenti e investimenti.

Il ruolo del comitato per l’imprenditoria femminile
Fondamentale, in questo scenario, il contributo del Comitato per l’imprenditoria femminile (CIF) della Camera di Commercio dell’Umbria. Presieduto da Dalia Sciamannini e coordinato sul piano dirigenziale dal vice segretario generale Giuliana Piandoro, il CIF promuove la cultura d’impresa, organizza attività di formazione, mentoring e networking, e offre strumenti per affrontare i nodi più critici, dal credito alla digitalizzazione.

Un lavoro costante che trasforma i numeri in occasioni concrete di crescita e accompagna le donne imprenditrici verso percorsi di maggiore autonomia e stabilità.