Prosegue la mobilitazione dei lavoratori delle Fabbricerie, in particolare di quelli dell’Opera del Duomo di Orvieto, che hanno organizzato un flash mob proprio davanti al Duomo, per sottolineare l’urgenza della riapertura del negoziato per il rinnovo del contratto di lavoro e il conseguente adeguamento degli stipendi.
A quasi due anni dalla scadenza del contratto nazionale di lavoro 2021-2023, infatti, erano seguiti mesi e mesi di trattativa e una procedura di conciliazione conclusasi con il mancato accordo a causa dell’indisponibilità dell’associazione datoriale a compiere i necessari passi avanti.
“Dopo due anni di trattativa gli enti aderenti a Fabbricerie – si legge nei volantini che i manifestanti hanno esposto questa mattina durante il flash mob –, i responsabili dei monumenti che voi visitate non sono disponibili a riconoscere ai loro lavoratori e alle loro lavoratrici un aumento degli stipendi adeguato all’alta inflazione registrata in questi anni. Tutto è aumentato. Gli affitti, i beni alimentari, le bollette e i ricavi delle Fabbricerie. Solo i nostri stipendi non possono aumentare? Mentre noi continuiamo a prenderci cura dei monumenti e a tenerli aperti gli enti chiudono la trattativa. Riaprite la trattativa e dateci presto un giusto contratto”.
“Dopo la proposta dell’aumento del 5,2 per cento, a cui si è aggiunta l’ulteriore proposta di un rilancio dell’1,2 per cento da parte dei rappresentanti dei datori di lavoro delle Opere, riteniamo insufficiente tale proposta per procedere alla sottoscrizione del Contratto Nazionale – ha affermato Andrea Pitoni, segretario generale di Fp Cgil Terni –. L’Associazione nazionale delle fabbricerie deve tornare al tavolo con una proposta economica rispondente alle aspettative di chi, ogni giorno, garantisce l’accesso e la tutela di opere che rappresentano un patrimonio dell’umanità. La proposta di incremento del 6,4% non è sufficiente: non tutela il potere d’acquisto eroso dall’inflazione e non risponde alle richieste contenute nella piattaforma unitaria, sostenute in tutte le assemblee svolte a ottobre”. “Questo contratto – conclude il segretario ternano della Fp Cgil – deve recuperare anche parte dello scostamento registrato nel triennio precedente, come previsto dalla clausola contrattuale. Basta con risposte elusive e insufficienti: servono aumenti tabellari adeguati per tutelare realmente i salari e dare risposte concrete a chi lavora ogni giorno nelle fabbricerie”.
Dal prossimo primo gennaio passeranno a Trenitalia 103 maestranze dalle ex Officine Busitalia di Umbertide e altri operatori del settore ferro in Umbria. L’accordo siglato tra Trenitalia e le organizzazioni sindacali di categoria consente di evitare perdite occupazionali.
Sono coinvolte 103 maestranze di cui 73 macchinisti e capitreno, alcuni lavoratori indiretti e 27 addetti alle officine che andranno a svolgere attività di capotreno, macchinista, controllo pulizia a bordo treno, biglietteria, assistenza supporto di manovra e staff nelle stazioni di Perugia, Terni e Foligno.
L’accordo prevede specifiche tutele normative ed economiche per tutti i lavoratori come il riconoscimento dell’anzianità convenzionale (o di servizio), le tutele dell’art.18 statuto dei lavoratori per gli assunti anteriforma (07/03/2015) e l’assegnazione adeguata di livelli professionali ambito CCNL Gruppo FSI che permetteranno il mantenimento-incremento della RAL di provenienza. Nello specifico avremo:
• 33 capo treno che avranno il livello B3 CCNL Gruppo FSI di cui 16 assegnati a Terni e 17 a Foligno.
• 35 macchinisti che avranno il livello B3 CCNL Gruppo FSI di cui 12 a terni e 23 a Foligno.
• 6 dipendenti acquisiranno il livello B3 CCNL Gruppo FSI con assegnazione Foligno non appena termineranno la formazione da capo treno. Per costoro è stata inserita una clausola di salvaguardia nel caso ci siano ritardi formativi, in tal caso il passaggio verrà posticipato.
• 4 dipendenti svolgeranno l’attività di manovra di cui 3 a Terni con livello C3 e 1 a Foligno con il B3.
• 4 dipendenti saranno utilizzati in vendita ed assistenza di cui 2 a Perugia, 1 a Foligno e 1 a Terni tutti con il livello B3.
• 11 dipendenti saranno utilizzati al controllo pulizie con il livello C2 di cui 2 a Terni, 4 a Perugia e 5 a Foligno.
• 8 dipendenti saranno assegnati a ruoli amministrativi e gestionali con vari livelli di riferimento.
L’accordo e la sua gestione sono basati su uno spirito che cerca di soddisfare le esigenze tecnico-produttive con quelle delle residenze dei singoli lavoratori. Per tale ragione per quanto concerne il personale mobile, si è condivisa l’istituzione anche di un turno di zona su Perugia. Su questo ambito e per scendere nei particolari attendiamo i prossimi sviluppi. Il percorso, ora, prevede un’ulteriore interlocuzione con Busitalia per definire i contenuti tecnici ed economici della conciliazione che verrà chiesto di sottoscrivere a tutti gli interessati all’atto delle dimissioni da Busitalia e assunzione a Trenitalia. Atto che sarà contestuale presso la sede Confindustria di Perugia entro il prossimo dicembre e che verrà anticipato con una mail di convocazione a tutti gli interessati che conterrà anche i dettagli della proposta di assunzione in termini di sede di lavoro ed inquadramento. “Dal punto di vista sindacale – il commento dalle segreterie regionali di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Fast, Orsa – esprimiamo soddisfazione per la sottoscrizione dell’accordo di confluenza che tutela normativamente ed economicamente tutti i dipendenti coinvolti. Ora rimane da monitorare il percorso conclusivo affinché non ci siano inconvenienti futuri”.
“Non si perde un solo posto di lavoro – evidenzia il segretario della Filt Cgil, Ciro Zeno – e il trasporto ferroviario passerà dopo decenni sotto un unico gestore, e cioè Trenitalia, per tutta l’Umbria. Possiamo definirlo un passaggio storico e auspichiamo che questo rappresenti il rilancio del trasporto ferroviario nella nostra regione. Attendiamo con ansia la riapertura della linea Perugia-Todi-Marsciano-Terni perché rappresenterà il rilancio del trasporto metropolitano e, nella stessa misura, aspettiamo il potenziamento della linea Perugia-Sansepolcro che sarà lo sbocco verso nord. Tutto questo sicuramente rappresenterà la velocizzazione dal capoluogo di regione verso nord dell’Umbria e da Perugia verso Terni, quindi verso Roma”.
“La Filt Cgil – ha concluso il segretario Ciro Zeno – è orgogliosa di aver sottoscritto questo accordo fatto di sacrificio ma anche di grande capacità di sintesi, un metodo che è stato alla base del tavolo di concertazione. Nel contempo ringraziamo sia Busitalia che Trenitalia per la grande disponibilità e per aver compreso l’importanza e la strategia di questo percorso. La Direzione regionale Umbria di Trenitalia potrà vantare dal primo gennaio un organico di tutto rispetto che la mette al pari di altre grandi Direzioni regionali d’Italia: non siamo più la piccola Umbria”.
In Umbria 211.221 occupati, su un totale di 250.965, lavora nelle micro, piccole e medie imprese (MPMI). Una percentuale dell’84,2% a fronte di una media del 76,4% in un’Italia che sta perdendo le grandi imprese, ma che vede il tessuto di Pmi più robusto d’Europa.
Percentuale che nella provincia di Perugia scende all’83,8% (63.295 addetti su 194.901 totali), mentre nella provincia di Terni è dell’85,5% (47.926 addetti su 56.064).
In Italia
Secondo l’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia, i lavoratori sono maggiormente concentrati nel MPMI nel Sud. Sul podio delle percentuali più alte ci sono il Molise con 98,3% (57.683 occupati du 58.682), la Calabria con il 96,6% (279.992 occupati su 289.745) e la Basilicata con 95,8% (99.452 su un totale di 103.842).
Le tre regioni dove le percentuali risultano più basse sono il Piemonte con 70,1% (1.008.832 di occupati su 1.438.868), il Lazio con 68,1% (1.319.973 su 1.939.181), la Lombardia con il 64,9% (2.966.720 su 4.569.825 di occupati).
In Italia complessivamente il 76,4% dei 18,6 milioni di occupati è impegnato nelle micro, piccole e medie imprese (14.242.347 addetti).
Il Tribunale di Perugia ha riammesso al lavoro otto dipendenti della Tgroup di Assisi. Un provvedimento che la Filt Cgil accoglie con soddisfazione, ritenendo che la sentenza abbia stabilito un importante principio.
I lavoratori facevano parte di un ramo d’azienda affittato da un’impresa poi fallita ed era stato intimato loro di tornare a una realtà che, in pratica, non esisteva più.
La causa è stata portata avanti da Filt Cgil tramite le avvocate Benedetta Sciarra e Anna Lombardi. “Purtroppo – commenta il segretario generale della Filt Cgil Umbria, Ciro Zeno, che ha illustrato la vicenda insieme alle legali e al coordinatore merci e logistica di Filt Cgil Umbria, Sandro Gentili – il settore merci e logistica è una giungla in cui spesso le aziende credono di fare delle lavoratrici e dei lavoratori ciò che vogliono, licenziandoli a loro piacimento. Ma non può e non deve essere così, i lavoratori non sono merci e oggi siamo qui a dimostrarlo con i fatti. Il giudice ha sentenziato che gli otto dipendenti della Tgroup illegittimamente licenziati lo scorso anno, da noi difesi attraverso le nostre legali, devono essere riammessi al loro posto di lavoro e risarciti con una media di 35mila euro a testa. Oggi si vuole far passare l’idea che i sindacati non servano più, ma questa sentenza dimostra l’esatto contrario. Chi ci attacca lo fa per lasciare alle imprese il potere assoluto di fare delle maestranze ciò che vogliono”.
Il Tribunale di Perugia ha disposto la riammissione al lavoro di questi otto dipendenti e un cospicuo risarcimento. In gran parte ultracinquantenni, hanno raccontato le difficoltà, i momenti di sconforto e disperazione che hanno vissuto a seguito di quello che può essere considerato il loro licenziamento, avvenuto nell’aprile 2024. Tutto ha inizio quando l’impresa Ponte logistica di Assisi affitta un proprio ramo d’azienda, comprensivo di beni e personale, alla Tgroup, anch’essa azienda del settore trasporti.
“Allo scadere del contratto d’affitto – ha spiegato Lombardi – l’azienda cessionaria aveva comunicato alle lavoratrici e ai lavoratori di dover tornare all’azienda cedente, con il piccolo particolare, però, che nel frattempo quest’ultima era stata messa in liquidazione e per cui, di fatto, non esisteva più. Si trattava, in sostanza, di un ritrasferimento del ramo d’azienda, compresi i dipendenti, a una realtà che non c’era più. La particolarità di questa causa sta proprio nello stabilire l’impossibilità di una retrocessione nel caso in cui l’azienda cessionaria sia in liquidazione e che quindi, non potendo svolgere attività lavorativa, non possa reimpiegare i dipendenti. In questo caso la legge garantisce i lavoratori e questa sentenza lo conferma”.
“La sentenza – ha chiarito anche Sciarra – ha sancito un principio importante e riconfermato quanto già espresso in passato dalla Cassazione. Se potrebbe considerarsi normale che il personale segua l’azienda cessionaria, non lo è più nel momento in cui l’azienda è ormai un contenitore vuoto in cui non possono lavorare. Si viola un diritto imprescindibile. Il giudice, con questa sentenza, ha stabilito che nel momento in cui si affitta un ramo d’azienda, il nuovo datore di lavoro si assume un impegno nei confronti del dipendente, anche nella conservazione del suo posto di lavoro. Non si può parcheggiare una lavoratrice o un lavoratore in un contenitore vuoto dove poi non vengono tutelati i suoi diritti. Per questo abbiamo vinto la causa e ottenuto un bel risarcimento del danno a favore di tutti i lavoratori”.
Dal Bollettino Excelsior emergono una crescita economica anemica e il lavoro che cambia in Umbria: deindustrializzazione e più servizi, luci e ombre della terziarizzazione avanzata. In soli due anni l’industria (comprese le costruzioni) è scesa dal 39,8% al 34,7% delle assunzioni previste.
Dalle previsioni degli imprenditori sugli avviamenti al lavoro emerge una regione che continua a creare occupazione, ma con un passo più lento mentre l’economia rallenta e la produttività ristagna o arretra, ampliando il fenomeno del lavoro “povero”. Industria in arretramento strutturale, servizi in espansione. Le imprese cercano profili che non trovano e i laureati restano ai margini. Un’Umbria che si trasforma, ma senza la spinta dell’innovazione. Non un crollo, non un’inversione brutale, ma un progressivo scivolamento verso un’economia più leggera, meno industriale, più legata ai servizi e, soprattutto, meno capace di valorizzare le competenze alte.
Il commento di Mencaroni
Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Il Bollettino Excelsior ci consegna dati che richiedono una lettura attenta. Il rallentamento della produttività e l’aumento dei lavori meno qualificati mostrano che il tema centrale è la qualità dello sviluppo, non solo la sua quantità. La struttura economica dell’Umbria sta cambiando in modo profondo: questo impone a tutti noi – imprese, istituzioni, mondo della formazione – uno sforzo ulteriore per elevare competenze, capacità innovative e solidità dei sistemi produttivi. La Camera di Commercio è da tempo impegnata in questa direzione, attraverso strumenti, servizi e iniziative che accompagnano i diversi comparti in un contesto complesso. I dati ci ricordano che la competitività del territorio dipende dalla capacità di affrontare questi passaggi con visione e responsabilità condivisa”.
Economia lenta, occupazione che cresce ma perde slancio e qualità
Nel primo semestre la crescita dell’Umbria si ferma allo 0,6%, informa la Banca d’Italia. Un numero piccolo, che però ha un significato preciso: la regione non si sta riducendo, sta semplicemente avanzando con meno energia. È la stessa fotografia che riguarda l’Italia, nonostante la coda lunga degli investimenti del Pnrr. E quando il motore gira piano, il mercato del lavoro inevitabilmente rallenta.
Le assunzioni previste per novembre – escluso il settore agricolo censito solo da metà 2025 e per il quale quindi non è possibile fare confronti con gli anni precedenti – scendono da 5.700 nel 2024 a 4.730 nel 2025: un calo del 17%. Una contrazione che sarebbe facile leggere come un arretramento, ma che di fatto segnala solo una crescita meno vivace. La base occupazionale umbra continua infatti ad ampliarsi, come ricorda Bankitalia, ma lo fa a un ritmo che rispecchia la condizione di un’economia in rallentamento.
Un dato non secondario emerge con forza: da anni l’occupazione cresce più del Pil. È il segnale inequivocabile di una produttività stagnante, quando non in diminuzione. E questo squilibrio produce effetti molto concreti: aumento dei lavori instabili, salari più bassi, contratti più fragili: da qui l’allargarsi del fenomeno del lavoro “povero”, che è la vera ombra sotto la superficie dei numeri.
Industria: una crisi che non passa, ma si stabilizza
Il cuore della fragilità umbra resta l’industria. Le assunzioni previste a novembre calano da 2.220 nel 2024 a 1.640 nel 2025. La discesa non ha più i tratti dell’oscillazione ciclica: è diventata una condizione stabile e strutturale. L’Umbria perde industria come il resto d’Italia, ma lo fa con un’intensità maggiore. Ogni anno si assottiglia la base produttiva, si riduce la capacità innovativa e il tessuto manifatturiero perde pezzi.
Anche i servizi segnano una flessione (da 3.480 a 3.090), pur restando il pilastro dell’occupazione regionale. L’agricoltura registra 430 avviamenti previsti (nel complesso, se si comprende l’agricoltura, le assunzioni previste in Umbria a novembre sono 5.170).
Nel trimestre novembre-gennaio, le imprese umbre programmano 16.130 assunzioni. È un numero che testimonia vitalità, ma incontra un ostacolo ormai strutturale: nel 53% dei casi, le aziende non trovano le figure di cui hanno bisogno. Un valore molto superiore alla media italiana (45,7%), segno che la distanza fra domanda e offerta continua ad ampliarsi. La difficoltà non riguarda tanto la qualità dei candidati quanto la loro assenza.
La debolezza dell’Umbria nell’attrarre e impiegare competenze elevate
Il 10% di assunzioni destinate a laureati è un dato che fotografa una debolezza storica. L’Italia si ferma al 13%, già insufficiente in chiave europea. L’Umbria va ancora più indietro.
E lo stesso accade per dirigenti, specialisti e tecnici: 13% delle entrate previste, contro il 17% nazionale.
Sono cifre che dicono una cosa semplice: l’economia umbra funziona, ma fatica a crescere qualitativamente. Non produce abbastanza lavori ad alto valore aggiunto, non trattiene i giovani formati, non crea un ecosistema competitivo. L’esito è noto: fuga di competenze, indebolimento del capitale umano, prevalenza di mansioni tradizionali.
Servizi in espansione: commercio, turismo, cura
Il cambiamento strutturale dell’Umbria è evidente confrontando i dati con quelli di due anni fa. L’industria (costruzioni incluse) passa dal 39,8% al 34,7% delle assunzioni previste, al netto dell’agricoltura per cui, come detto, non sono possibili confronti con gli anni antecedenti il 2025. Simmetricamente crescono i servizi (al netto dell’agricoltura, assorbono il 65,3% delle previsioni di assunzione da parte degli imprenditori, mentre al lordo dell’agricoltura la percentuale è del 61,7%).
Il commercio avanza dal 14,9% al 18,2%, il turismo dal 15,6% al 17,1%, i servizi alla persona dal 9,6% al 10,6%. Le costruzioni frenano, scendendo dal 14,3% al 12,1%, segno di un settore che esaurisce la stagione straordinaria degli incentivi.
Il punto critico resta l’assenza di un vero terziario innovativo. La regione si muove, cambia forma, amplia i servizi tradizionali, ma non inserisce quella componente avanzata che altrove è il motore della crescita, della competitività e della qualità del lavoro.
In Umbria a fronte di 373.057 lavoratori attivi, si contano 401.288. Un saldo di 28.231 che è frutto delle dinamiche del mondo del lavoro e soprattutto dell’anzianità della popolazione, seconda soltanto alla Liguria, che è infatti l’unica regione del Nord ad avere un saldo negativo. La presenza di un maggior numero di beneficiari di pensioni rispetto ai lavoratori si riscontra in tutta l’Italia meridionale e al Centro, ad eccezione di Lazio e Toscana.
L’Umbria fa registrare anche un indice alto (73.3) di indice di anzianità dei lavoratori del settore privato -dato dal rapporto tra over 55eunder 35, che fa pensare che la situazione peggiorerà in futuro, se non ci sarà un robusto aumento dei lavoratori attivi. Da qui al 2029, del resto, andranno in pensione 44.800 lavoratori umbri, di cui 20.100 nel settore privato.
Quanto alla situazione nelle due province umbre, nel Ternano i pensionati nel 2024 risultavano 104.412 contro 89.730 lavoratori attivi (con un saldo di 14.682 unità). In provincia di Perugia i beneficiari di pensione nello stesso anno (l’ultimo disponibile) erano 296.876, contro 283.327 lavoratori attivi (saldo di 13.549 unità).
In Italia, evidenza l’Ufficio studi della Cgia, a fronte di 7,3 milioni pensioni pagate nel 2024 c’erano più di 6,4 milioni di occupati. Il Mezzogiorno è l’unica ripartizione geografica del Paese che presenta questo squilibrio. La regione con il disallineamento più marcato è la Puglia, che registra un saldo negativo pari a 231.700 unità. Ad eccezione della Liguria, dell’Umbria e dalle Marche, invece, le regioni del Centro-Nord mantengono un saldo positivo che si è rafforzato, grazie al buon andamento dell’occupazione avvenuto negli ultimi due-tre anni.
Dalla differenza tra i contribuenti attivi (lavoratori) e gli assegni erogati ai pensionati, spicca, sempre nel 2024, il risultato della Lombardia (+803.180), del Veneto (+395.338), del Lazio (+377.868), dell’Emilia Romagna (+227.710) e della Toscana (+184.266).
La Uil dell’Umbria ha aperto la propria fase congressuale. Per “una nuova stagione di orgoglio e protagonismo” ha commentato il segretario generale della Uil Umbria, Maurizio Molinari.
Questa fase porterà al rinnovo delle categorie e al congresso generale della Uil Umbria, previsto per il 4 maggio 2026. A portare il saluto della segreteria nazionale è stato il segretario organizzativo Emanuele Ronzoni.
“Il consiglio regionale – ha spiegato Molinari – è stato un momento fondamentale per avviare questa fase strategica, di programmazione e ripartenza in vista di una nuova stagione che ci dovrà vedere ancora protagonisti. Oggi la Uil, in Umbria, è un sindacato in salute, che apre nuove sedi e che è capace di dettare l’agenda. In passato abbiamo peccato di assenza e rassegnazione, ma il nuovo percorso anche nazionale con Pierpaolo Bombardieri ha dato linfa al progetto che ci vuole in campo per difendere il lavoro”. Il segretario Molinari ha ricordato il lavoro per il Protocollo sulla sicurezza e la qualità del lavoro, presentato alla politica regionale e che sta portando alla revisione della normativa sugli appalti. Annunciata però anche un’iniziativa sul lavoro dignitoso. “Un grande lavoro, che ha coinvolto cittadini e istituzioni, iscritti e delegati, e che continuerà fino al Congresso e subito dopo”.
Dal segretario Ronzoni il punto della situazione sulla politica sindacale nazionale: “Costruiamo una Uil del futuro che rappresenta tutti, a prescindere dai colori politici, e un sindacato che è capace di entrare nel merito dei problemi delle persone”. Sulla Manovra: “Per la prima volta c’è stata una discussione preventiva, che ha accolto molte delle nostre richieste. Abbiamo chiesto un impegno per la redistribuzione delle ricchezze e ci sono ancora aspetti da perfezionare. Ci sono ancora tre morti al giorno sul lavoro, serve un fisco più moderno”. E sulla Uil: “Per noi il clima è positivo, come lo è in Umbria: siamo il primo sindacato in moltissimi settori, le persone apprezzano il fatto che siamo capaci di stare nel merito dei temi”.
Giovedì 6 novembre anche i lavoratori delle farmacie private umbre incroceranno le braccia per l’intero turno di lavoro, come nel resto d’Italia, per sostenere il rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro, scaduto il 31 agosto 2024.
Lo sciopero, proclamato dalle federazioni di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, arriva dopo la rottura del tavolo negoziale con Federfarma che, spiegano i sindacati, “continua a non riconoscere la necessità di adeguamenti retributivi e soluzioni normative coerenti con l’aumento del costo della vita e con il valore professionale dei farmacisti”. La proposta economica avanzata da Federfarma, pari a 180 euro lordi, è stata giudicata del tutto insufficiente dalle organizzazioni sindacali, “poiché – sostengono – non adegua in alcun modo i salari all’inflazione e non riconosce il valore reale della professione, né il ruolo centrale che le farmacie private svolgono nel sistema sanitario nazionale”.
In Umbria, nella stessa giornata, si terrà un presidio regionale in piazza Italia a Perugia alle 9.30, davanti alla sede del Consiglio regionale. I farmacisti manifesteranno per chiedere rispetto e riconoscimento concreti del proprio ruolo, “che – affermano Filcams, Fisascat e Uiltucs – va ben oltre la semplice dispensazione dei farmaci. Le farmacie private, infatti, rappresentano un presidio sanitario e sociale fondamentale per il Paese, e la professionalità di chi vi lavora costituisce il primo punto di riferimento per milioni di cittadini in tema di salute, assistenza e prossimità sanitaria”.
Le organizzazioni sindacali ribadiscono di aver “sempre cercato un confronto costruttivo, avanzando proposte concrete e sostenibili per un rinnovo contrattuale che garantisca adeguamenti salariali equi, una migliore conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, il pieno riconoscimento della professionalità anche in relazione alla farmacia dei servizi, e percorsi formativi capaci di valorizzare le competenze del personale”. Filcams, Fisascat e Uiltucs chiedono quindi a Federfarma di tornare al tavolo di trattativa e di “favorire una rapida conclusione del negoziato, dimostrando di voler realmente tutelare farmaciste e farmacisti, collaboratrici e collaboratori delle farmacie private, attraverso un rinnovo contrattuale che rispecchi il valore reale della professione”.
“Lo sciopero – concludono i sindacati – è stato dichiarato nel rispetto delle normative vigenti. Il percorso di mobilitazione è stato avviato il 20 ottobre dal coordinamento nazionale unitario delle strutture, dei delegati, e ha proseguito il 27 ottobre con un’assemblea nazionale unitaria partecipata da circa 4mila farmacisti, che ha definito le prossime tappe della vertenza, con manifestazioni e presidi organizzati in tutta Italia.
All’IperConad Pianeta di Terni, l’ipermercato del centro commerciale Cospea Village, concluse le elezioni per il rinnovo delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie). La Filcams Cgil si è confermata il primo sindacato nella maggiore realtà della grande distribuzione organizzata a Terni ottenendo 69 voti su 116 votanti una percentuale di consensi del 58,9 per cento e tre delegati su sei previsti: Paolo Paparelli, Corinna Panbianco e Sandro Padiglioni.
La Filcams Cgil di Terni ha espresso “grande soddisfazione per il risultato ottenuto alle elezioni per il rinnovo delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) dell’Iperconad di Terni. Questo importante risultato che i lavoratori ci hanno affidato ci riconsegna una grande responsabilità e ci spinge a continuare nell’impegno della difesa dei diritti e dei livelli occupazionali in questa fase delicata del ruolo della grande distribuzione nel territorio provinciale. Un sentito ringraziamento – ha concluso l’organizzazione sindacale – per la fiducia dimostrata e alle candidate e candidati della lista Cgil per la disponibilità dimostrata e per aver contribuito fattivamente al raggiungimento di questo risultato a dimostrazione che la rappresentanza è un valore a cui fare riferimento nei luoghi di lavoro”.
Sciopero, con presidio davanti alle sedi di Gesenu a Perugia e Asm a Terni per i lavoratori del comparto igiene ambientale. Una protesta indetta a livello nazionale dai sindacati Fp Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Fiadel per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro, scaduto il 31 dicembre scorso.
I sindacati comunicano che in Umbria l’adesione allo sciopero è stata molto alta, con punte del 90%.
Ai presidi erano presenti anche i rappresentanti delle organizzazioni sindacali: a Perugia per Fp Cgil il segretario regionale Michele Agnani e il segretario provinciale Fabrizio Cecchini, per Fit Cisl il segretario regionale Pasquale Qualatrucci, per Uiltrasporti il segretario regionale Walter Bonomi e per Fiadel il segretario regionale Michele Strettomagro; a Terni i segretari provinciali delle stesse sigle tra cui Andrea Pitoni della Fp Cgil ,Leonardo Celi della Uiltrasporti e Ribeca Andrea della Fit Cisl.
Come previsto, le stesse organizzazioni sindacali sono state ricevute dal segretario di Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) Umbria, Silvio Ranieri. Il presidente Federico Gori non è invece potuto essere presente per impegni precedentemente assunti. “Il segretario Ranieri, che ringraziamo – fanno sapere i rappresentanti dei sindacati – si è detto disponibile a coinvolgere l’Anci nazionale e le aziende locali del settore affinché si facciano carico delle istanze dei lavoratori e della riapertura del tavolo negoziale. Anci Umbria ha preso anche l’impegno di aprire un confronto rispetto alle problematiche per migliorare il servizio e la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori”.
Numerose, infatti, secondo Fp Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Fiadel sarebbero le problematiche che affliggono gli operatori del settore. Per questo chiedono di: implementare e rafforzare le norme e gli strumenti di prevenzione per salute e sicurezza “affinché il settore, oggi al primo posto per infortuni spesso mortali nei servizi pubblici locali, non detenga più questo triste primato e migliori sensibilmente le condizioni di lavoro”; migliorare e adeguare la classificazione del personale, riconoscendo nuove professionalità e innovazioni tecnologiche e organizzative sviluppate in questi anni, modernizzando la classificazione; recuperare le differenze contrattuali tra generazioni e genere, aumentando la tutela per il personale over 55, riducendo il divario salariale relativo all’inquadramento del personale neoassunto, ridefinendo l’equilibrio dei tempi di vita e di lavoro, garantendo la stabilità occupazionale dei lavoratori in appalto, aumentare le retribuzioni attraverso il recupero del potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione del triennio 22/24 e da quella prevista per il triennio 25/27, anche riqualificando il sistema indennitario, implementando il sistema di welfare e di sanità integrativa.
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