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Tag: lavoro

“Protocollo sicurezza e qualità del lavoro”, Uil in audizione in Regione

La Seconda e la Terza commissione dell’Assemblea legislativa si sono riunite in seduta congiunta per l’audizione dei rappresentanti della Uil Umbria, che hanno presentato il “Protocollo regionale per la sicurezza e la qualità del lavoro negli appalti pubblici della Regione Umbria”.

Il segretario generale della Uil Umbria, Maurizio Molinari, ha parlato delle difficoltà dei lavoratori delle cooperative, anche per chi ha un contratto a tempo indeterminato, a “passare attraverso trattative lacrime e sangue non per quanto c’è scritto sul capitolato d’appalto, ma per l’utilizzo del criterio del massimo ribasso, che riduce il margine delle cooperative e gli stipendi stessi, lasciando i lavoratori alle prese con grandi disagi in quanto, nonostante titolari di una posizione lavorativa si trovano in difficoltà anche per ottenere risorse dagli istituti di credito, rimanendo nella impossibilità di affrontare il proprio futuro. Con il protocollo che presentiamo all’attenzione dell’Assemblea legislativa noi vogliamo ridare dignità al lavoro e garantire anche la sicurezza di chi lavora, quindi no al massimo ribasso o a gare prive di certificazioni adeguate. E in corso d’opera vi sia la possibilità che l’appalto possa essere ritirato. La legge ‘2/2024’ ha bisogno di fare un passo avanti. Chi ha un contratto a tempo indeterminato deve avere la stessa busta paga indipendentemente dal cambio di appalto, non dover ricominciare daccapo senza nemmeno sapere se il giorno dopo lavorerà. Il protocollo, firmato da tutti i capigruppo in Regione, è di enorme importanza, andiamo fino in fondo, integriamo la legge e facciamo un salto di qualità, saremmo la prima Regione a mettere in campo una legge che ridà dignità ai lavoratori ora privi di certezze quando cambia l’appalto”.

Il protocollo

La Regione, in qualità di stazione appaltante, dovrà esaminare gli appalti dando luogo ad incontri preventivi. Dovrà essere prevista l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e integrativi, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente e maggiormente rappresentative sul piano nazionale, questo risulterà utile anche per affrontare il dumping contrattuale, un problema da affrontare concretamente. Per quanto concerne l’edilizia va prevista l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa edile. La clausola sociale deve essere vincolante per tutte le stazioni appaltanti, sempre orientata alla stabilità occupazionale e al riassorbimento del personale. Va superato il criterio del massimo ribasso a fronte di un ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Va anche arginato il ricorso al subappalto, possibile causa di situazioni di frammentazione delle responsabilità e l’indebolimento delle tutele lavorative e previdenziali. La parte pubblica deve riconoscere l’importanza della tracciabilità nei cantieri quale presidio di legalità, sicurezza e regolarità contributiva. Nei capitoli speciali di appalto relativi a lavori pubblici va dunque inserito l’obbligo di applicazione delle procedure del ‘Cantiere trasparente’. Ogni cantiere dovrà essere tracciabile, vigilato, regolamentato e abitato da lavoratori consapevoli, protetti, formati e dignitosamente retribuiti. Altri punti cardine saranno quelli della trasparenza, del contrasto totale alle infiltrazioni della criminalità, la regolarità contributiva e pagamenti e retribuzioni dignitose.

Molinari: il nostro un intento costruttivo

Questo il commento del segretario della Uil Umbria, Maurizio Molinari: “E’ iniziato, con la nostra audizione, il percorso che ha portato il Protocollo regionale per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro elaborato dalla Uil, all’attenzione della Regione. Abbiamo infatti partecipato all’incontro con la Seconda e la Terza commissione di Palazzo Cesaroni, spiegando quanto il nostro intento sia costruttivo: dare una direzione che possa anche essere la base per nuova normativa in grado di incidere anche sulla giungla degli appalti, che poi si ripercuote sulla sicurezza sul lavoro. L’obiettivo è quello ridare dignità al lavoro”.

“Ringraziamo tutti i capigruppo che avevano firmato la proposta, i presidenti delle Commissioni Letizia Michelini e Luca Simonetti e tutti i consiglieri che hanno partecipato all’incontro, per lo spirito costruttivo dimostrato che mette al centro l’obiettivo e non la bandierina politica. Auspichiamo dunque che il percorso possa andare avanti, con il contributo di tutti i portatori di interesse, a tutela del lavoro e dei lavoratori e affinché la nostra Regione possa essere di nuovo un esempio per buone pratiche. Da parte nostra – assicura Molinari – ci sarà il massimo dell’attenzione, della disponibilità e della sensibilità per un lavoro aperto, inclusivo e concreto che porti risultati tangibili quanto prima”.

In Umbria 371mila lavoratori non in regola

Degli oltre 371mila occupati in Umbria, più di 35mila sono irregolari. La Cgia stima una percentuale di irregolarità del 9,5%. In una classifica negativa guidata dalla Calabria e che conta in tutta Italia quasi 2 milioni e mezzo di irregolari (per una media del 9,7%).

Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva. In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.200 abitanti della Campania.

Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17,1%. Seguono la Campania con il 14,2%, la Sicilia con il 13,6% e la Puglia con il 12,6%.

(immagine generica d’archivio)

“Sistema integrato mercato del lavoro”, l’Umbria adegua la sua legge al Pnrr

La Terza commissione dell’Assemblea legislativa umbra, dopo la presentazione di istruttorie ed emendamenti, ha approvato a maggioranza (astenuti i consiglieri di opposizione) il disegno di legge predisposto dalla Giunta, che verrà inviato all’Aula per essere approvato il 25 settembre, nel rispetto
delle tempistiche previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Si modifica dunque la legge regionale n.1/2018 “Sistema integrato per il mercato del lavoro, l’apprendimento permanente e la promozione dell’occupazione. Istituzione dell’Agenzia regionale
per le politiche attive del lavoro (Arpal)”, secondo le richieste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

I lavori sono stati aperti dall’illustrazione delle istruttorie degli Uffici e degli emendamenti presentati dalla Giunta, che armonizzano e adattano le prescrizioni del Pnrr al testo della vigente legge regionale. L’iniziativa legislativa dell’Esecutivo di Palazzo Donini segue la procedura d‘urgenza in ragione del termine
del 30 settembre 2025 stabilito per l’adeguamento delle leggi regionali alla “Missione 7-10 Riforma 5 – Piano nuove competenze – transizioni” del Pnrr.

Il testo verrà inviato all’Aula per essere approvato nella seduta del 25 settembre: relatori Luca Simonetti
(maggioranza) e Eleonora Pace (minoranza).

Lavoro, è l’artigianato a trainare la ripresa dei piccoli centri terremotati

L’artigianato guida la ripresa dell’economia nelle zone terremotate. Se si esclude Spoleto, negli altri 14 comuni del cosiddetti “cratere” dieci anni dopo il sisma del 2016 si registra un +11% di addetti. Nello stesso periodo, l’Umbria ha visto un calo del 4,3% e l’Italia del 7,2%.

I dipendenti subordinati registrano un +39,5 (Umbria +1,5% e Italia -6,2%). Complessivamente imprese in calo dell’11,2%: questo significa che ce ne sono di meno, ma sono più strutturate e in grado di assicurare più occupazione.

E’ quanto mostra, in sintesi, il report della Camera di Commercio dell’Umbria, nell’ambito del Progetto Fenice.

Meno imprese, ma più addetti

L’analisi copre il decennio dal secondo trimestre 2015 al secondo trimestre 2025, includendo il 2019 come anno pre-pandemico. Nei comuni montani del cratere (Arrone, Cascia, Cerreto di Spoleto, Ferentillo, Montefranco, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Polino, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano e Vallo di Nera) escludendo Spoleto che, essendo una città, ha dinamiche sue proprie differenti dalla situazione più omogenea esistente negli altri comuni, le imprese artigiane attive sono calate da 489 a 411, con una perdita dell’11,2%.

Numeri peggiori della media regionale (-5,5%) e nazionale (-4%). Ma dietro questa contrazione si cela un paradosso positivo: gli addetti sono aumentati dell’11%, passando da 1.008 a 1.149. Una dinamica positiva che va in direzione opposta rispetto al resto del Paese: l’Umbria ha perso 3.936 addetti (-4,3%), l’Italia addirittura 214mila (-7,2%).

È il segnale che, seppur meno numerose, le imprese artigiane rimaste hanno saputo irrobustirsi, assumere e crescere di dimensione. La media è salita da 2,1 a 2,8 addetti per azienda, ribaltando il rapporto con la regione che nel 2015 aveva valori più alti.

Tanti dipendenti subordinati

Il vero spartiacque è nella qualità dell’occupazione. Nei 14 comuni del cratere, i dipendenti subordinati – lavoratori dipendenti veri e propri, non familiari – sono aumentati del 39,5%: da 370 a 629. Un dato che fa impressione se confrontato con l’Umbria (+1,5%) e con l’Italia, che ha perso il 6,2%.

In parallelo i collaboratori familiari sono scesi da 638 a 520 (-20,2%). Nel 2015 erano quasi il doppio dei dipendenti, nel 2019 si erano equilibrati, nel 2025 i subordinati hanno preso il sopravvento. È la fine del modello tradizionale e l’inizio di un artigianato più moderno, che non si regge solo sul nucleo familiare ma apre le porte a professionalità esterne.

Un passaggio che segna la differenza tra resistere e competere. E che racconta come il terremoto, pur devastante, abbia accelerato una trasformazione che altrove fatica a decollare.

Male Spoleto

Se si include Spoleto, il quadro resta positivo ma si smorza. La città, con oltre 36mila abitanti – più di tutti gli altri 14 comuni messi insieme – riduce la crescita degli addetti allo 0,6% e frena l’aumento dei dipendenti al 9,1%.

Le dinamiche spoletine, più simili al trend regionale, non agganciano la stessa traiettoria di rafforzamento. Il cratere montano appare così come un contesto a sé, più coeso e più segnato dalla ricostruzione, mentre Spoleto segue un percorso urbano e meno trainato dall’emergenza post-sisma.

I settori che trainano

Dentro i numeri si vedono i mestieri che hanno beneficiato di più. In dieci anni, gli addetti legati all’alloggio e alla ristorazione sono quasi raddoppiati, da 109 a 213, spinti dalla presenza del personale dei cantieri della ricostruzione e dalla ripresa post terremoto di un certo flusso turistico.

La manifattura cresce da 831 a 879 addetti, segno che anche i settori tradizionali possono adattarsi. L’agricoltura artigiana rimane stabile con 79 addetti, mentre trasporti e magazzinaggio segnano una leggera contrazione. Le “altre attività di servizi”, che includono anche comparti innovativi, assorbono circa 400 occupati.

Oltre la ricostruzione

La domanda è inevitabile: cosa accadrà quando i cantieri finiranno? La ricostruzione ha agito da motore straordinario, ma non potrà durare all’infinito. Se non si consolida ora la crescita, il rischio è di perdere terreno.

La priorità è rendere strutturale l’irrobustimento, puntando su innovazione, formazione, filiere e attrazione di giovani. Non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo.

La sfida sociale e il Progetto Fenice

Accanto ai segnali positivi, resta aperta una sfida cruciale: quella demografica. Il cratere montano soffre infatti di spopolamento e invecchiamento della popolazione, con il rischio che la vitalità economica non trovi nuova linfa nelle generazioni future. Perché la crescita non resti un episodio legato solo alla ricostruzione, occorre attrarre giovani e competenze innovative, trasformando questi territori in luoghi capaci di offrire opportunità stabili. Le risorse del PNRR, la spinta della digitalizzazione e le opportunità della transizione verde possono diventare leve decisive per consolidare i risultati e garantire che l’artigianato del cratere resti competitivo anche oltre l’emergenza. E in questo contesto si inserisce il Progetto Fenice, nato dalla collaborazione fra Università per Stranieri di Perugia, Comune di Norcia, Camera di Commercio dell’Umbria e Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica, per aiutare concretamente a ricostruire il tessuto sociale, culturale ed economico delle aree colpite dal sisma.

La dichiarazione di Mencaroni

Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Questi numeri ci dicono che la montagna umbra del cratere, pur ferita dal sisma del 2016, ha reagito con una sorprendente capacità di rafforzamento. Meno imprese ma più solide, più grandi, con più occupati, mentre la regione e l’Italia hanno perso terreno. La spinta della ricostruzione ha avuto un ruolo decisivo, ma la vera sfida è andare oltre e rendere strutturale questa crescita. Dobbiamo accompagnare le aziende nell’innovazione e nell’accesso a nuove competenze, perché l’artigianato non può restare legato soltanto all’onda lunga dell’emergenza. Il capitale umano è il cuore di questo processo – sottolinea Mencaroni – e come Camera di Commercio continueremo a sostenerlo con strumenti concreti di sviluppo territoriale. Perché non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida – conclude – è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo”.

In 6 anni l’economia orvietana ha perso 500 posti di lavoro

Oltre cinquecento posti di lavoro persi dal 2019 al 2015. Un lasso di tempo passato in rassegna dall’ultima analisi statistica effettuata da Matteo Tonelli, per Cts, Cittadinanza., territorio, sviluppo.

Le imprese sono diminuite in misura contenuta, passando da poco più di duemila nel 2019 a meno di duemila nel 2025, ma dietro questa stabilità numerica si nasconde una dinamica molto più problematica: il numero di addetti si è ridotto di quasi mezzo migliaio. In altre parole, le aziende resistono ma occupano meno persone, diventano più leggere e spesso riducono le loro dimensioni operative. È un segnale di progressiva fragilità che rischia di incidere sulla capacità della città di generare reddito e mantenere coesione sociale.

La fotografia dei settori è ancora più eloquente. Il manifatturiero rappresenta la vera area critica: il numero delle imprese è calato solo leggermente, ma gli addetti sono crollati di quasi il 40%. È il segnale di una deindustrializzazione che lascia dietro di sé strutture svuotate e competenze disperse. Anche l’agricoltura soffre, con un calo di manodopera di quasi un quinto: le imprese restano, ma sempre più ridotte e spesso senza un adeguato ricambio generazionale.

In controtendenza si muovono invece le costruzioni e il settore immobiliare, che hanno conosciuto anni di forte vitalità, legata soprattutto alle misure di incentivo edilizio e al crescente bisogno di riqualificazione urbana. Il commercio racconta una storia diversa: meno negozi ma più addetti. Si riducono i punti vendita di prossimità, cresce la concentrazione nelle catene e nelle strutture organizzate. È un processo che cambia il volto dei centri storici, con un impatto diretto sulla vita quotidiana.

Più incoraggianti i segnali dal turismo e dalla ristorazione: dopo lo shock del covid, il settore ha ripreso vigore, riportando l’occupazione a crescere e consolidando Orvieto come meta culturale ed enogastronomica.

Infine, il comparto dei servizi professionali mostra una crescita lenta ma costante: sempre più imprese e addetti operano nella consulenza e nelle attività legate alla conoscenza.

Se queste tendenze dovessero proseguire senza correttivi, nel 2030 Orvieto conterebbe meno di 1.900 imprese e poco più di 6.700 addetti. Una riduzione non drammatica nei numeri assoluti, ma che conferma la traiettoria di fondo: il sistema economico diventa progressivamente più frammentato, con imprese piccole e con poca forza lavoro. Si rischia così di accentuare la fragilità sociale ed economica, con meno opportunità per i giovani e una dipendenza crescente da pochi settori.

Mentre l’Umbria nel suo complesso ha conosciuto negli ultimi due anni una fase di crescita, con un tasso di occupazione che ha superato la media nazionale, Orvieto ha continuato a perdere addetti. L’Italia, nel 2024, ha aggiunto oltre 350mila occupati, mentre la città ha registrato un calo anche nei mesi più recenti. Alcuni andamenti locali si muovono però in linea con le dinamiche macro: le costruzioni hanno beneficiato del boom nazionale dei bonus edilizi; il turismo, in forte crescita in tutta l’Umbria, ha avuto effetti positivi anche ad Orvieto. Ma la manifattura locale soffre più che altrove, e l’agricoltura conferma le difficoltà comuni a livello nazionale, con margini sempre più stretti e un problema serio di ricambio generazionale.

Lavoro, l’Umbria tra le regioni dove è più difficile reperire manodopera

L’Umbria è sul podio, non certo invidiabile, delle regioni italiane dove gli imprenditori fanno più fatica a trovare le figure che vogliono assumere. Un problema che si presenta nel 55% delle assunzioni programmate. Fenomeno inferiore solo a quello che si registra in Trentino Alto Adige (56,5%) e in Friuli Venezia Giulia (55,3%). A fronte di una media italiana che è del 47,8%.

Nelle province

L’analisi della Cgia valuta il fenomeno nei territori, analizzando i dati delle province. Perugia è la nona in Italia, con la difficoltà di reperimento che raggiunge il 55,1%. Meno peggio Terni, dove il fenomeno riguarda il 54,5% delle assunzioni programmate.

Guardando al resto d’Italia, Pordenone è la provincia dove gli imprenditori faticano più di tutti gli altri colleghi d’Italia a trovare un lavoratore dipendente; nel 2024 la difficoltà di reperimento della realtà friulana è stata del 56,8%. Seguono Bolzano e Trento con il 56,5, Gorizia con il 56,1 e Cuneo con il 55,9.

Caserta con il 39,3%, Salerno con il 38,3 e, infine, Palermo con il 36,9 sono i territori dove è più facile reperire la manodopera richiesta.

Le figure introvabili

La Cgia mostra come il problema riguardi soprattutto operai specializzati, in ogni settore. Nell’edilizia mancano carpentieri, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, pavimentatori/piastrellisti, palchettisti e gruisti/escavatoristi. Nel comparto del legno sono quasi introvabili i verniciatori, gli ebanisti, i restauratori di mobili antichi e i filettatori attrezzisti. Nel tessile-abbigliamento si faticano ad assumere modellisti, confezionisti e stampatori. Nel calzaturiero, invece, tagliatori, orlatori, rifinitori e cucitori. Nella metalmeccanica, infine, la maggiore difficoltà di reperimento riguarda tornitori, fresatori, saldatori certificati, operatori di macchine a controllo numerico computerizzato e i tecnici di
montaggio per l’assemblaggio dei componenti complessi.

La ricerca di operai specializzati

Sempre secondo l’elaborazione della Cgia, nel 2024, su un totale di 5,5 milioni di nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro, quasi 840 mila (pari al 15 per cento del totale delle entrate attese) hanno riguardato operai specializzati. La ricerca di queste figure si è rivelata particolarmente impegnativa: nel 63,8% dei casi, infatti, gli imprenditori hanno segnalato notevoli difficoltà nel reperimento e, quando la selezione ha avuto esito positivo, il processo ha richiesto in media quasi cinque mesi. Nessun’altra professione richiesta dalle aziende ha evidenziato livelli di difficoltà e tempi di ricerca superiori a quelli riscontrati per gli operai specializzati.

Lavoro stabile, al via gli incentivi alle imprese

Occupazione stabile, al via gli incentivi. Da oggi, lunedì 25 agosto, le imprese umbre possono presentare domanda per accedere agli incentivi previsti dall’avviso pubblico “Incentivi per l’occupazione stabile nel 2025”, finanziato con risorse del Programma regionale Umbria FSE+ 2021–2027 – Asse I Occupazione e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

L’avviso mette a disposizione 5 milioni di euro complessivi per sostenere le imprese che, tra il 1° agosto e il 31 dicembre 2025, abbiano effettuato assunzioni a tempo indeterminato, attivato contratti di apprendistato o stabilizzato rapporti di lavoro precari. La richiesta non deve essere preventiva, ma deve riguardare assunzioni o stabilizzazioni già effettuate al momento della domanda, ad eccezione di quelle realizzate nei primi 25 giorni del mese di agosto, che saranno comunque ammesse.

Gli incentivi vanno da 9.000 a 15.000 euro per ciascun lavoratore assunto o stabilizzato, con importi maggiori riconosciuti per l’inserimento di giovani laureati per mansioni che prevedono il titolo di studi accademico e per le assunzioni di persone con disabilità oltre la quota di legge. È inoltre prevista una prima scadenza il 30 settembre 2025: le domande arrivate entro tale data saranno ammesse a valutazione senza attendere la chiusura definitiva dell’avviso, fissata al 31 dicembre. Arpal Umbria potrà chiudere anticipatamente la procedura solo se le richieste supereranno di tre volte la dotazione finanziaria.

Un elemento che caratterizza l’avviso è l’introduzione di un meccanismo di erogazione che consentirà alle imprese di disporre più velocemente delle risorse richieste senza sostenere spese per garanzie fideiussorie: gli incentivi saranno liquidati per il 50% dopo sei mesi dall’assunzione o dalla stabilizzazione e per la restante parte dopo 12 mesi. Si tratta di un aspetto determinante per semplificare le procedure, alleggerire il carico finanziario delle aziende e favorire così nuove opportunità di lavoro stabile.

“Con questa misura – spiega l’assessore allo sviluppo economico, al lavoro e alle infrastrutture Francesco De Rebotti – mettiamo a disposizione delle imprese umbre strumenti concreti per creare occupazione stabile, con un’attenzione particolare ai lavoratori più fragili e ai giovani laureati. È un passo importante per contrastare la precarietà e la fuga di competenze, frutto di un percorso di concertazione che ha visto il contributo delle rappresentanze datoriali. Arpal Umbria è costantemente a disposizione delle imprese e dei consulenti del lavoro per fornire chiarimenti e accompagnare le aziende nella fase di presentazione delle domande”.

In Umbria da qui al 2029 quasi 45mila lavoratori da sostituire

In Umbria da qui al 2029 si dovranno sostituire circa 44.800 lavoratori (di cui 20.100 del settore privato) che andranno in pensione o comunque lasceranno la propria occupazione per dedicarsi ad altro. E’ la stima fatta dalla Cgia, valutando i futuri pensionamenti e gli abbandoni.

Un fenomeno che si stima in Italia interesserà poco più di 3 milioni di lavoratori, pari al 12,5% circa del totale nazionale. Ponendo problematiche di natura sociale ed economica. Certo, occorre anche considerare la velocità con cui sta cambiando il lavoro in alcuni settori, soprattutto quelli a più alto contenuto tecnologico o di automatizzazione. Basti pensare all’impatto che si stima avrà nei prossimi anni nel mondo del lavoro l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

A livello nazionale, oltre 7 sostituzioni su 10 interesseranno il settore di servizi, con uscite particolarmente importanti nel commercio (379.600 unità), nella sanità pubblica/privata (360.800) e nella Pubblica Amministrazione (331.700). Nell’industria, la Cgia segnale il numero di rimpiazzi a cui dovrà essere sottoposto il comparto delle costruzioni (179.300).

L’Umbria risulta a tranche le regioni con un indice di anzianità dei dipendenti del settore privato superiore alla media nazionale. Il rapporto tra gli over 55 egli under 35, che appunto per convenzione fissa questo indice, in Puglia è di 73.3, a fronte di una media italiana che è di 65.2.

Così è cambiata la presenza delle donne nelle imprese umbre negli ultimi dieci anni

Aumentano nelle aziende umbre le donne dipendenti non familiari. Un segno di vera crescita, come sottolinea la Camera di commercio dell’Umbria, che ha analizzato le dinamiche nella regione nell’ultimo decennio.

Spiega Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “I dati dimostrano che l’imprenditoria femminile umbra, pur riducendosi numericamente, ha saputo crescere in qualità, struttura e occupazione. È un segnale di maturità che dobbiamo valorizzare: le imprese guidate da donne sono oggi più solide, meno legate al nucleo familiare e più aperte a competenze esterne, capaci quindi di affrontare le sfide del mercato globale. Tuttavia, restano barriere che non possiamo ignorare: l’accesso al credito, la burocrazia e la difficoltà di consolidare le attività nel tempo. Per questo la Camera di Commercio dell’Umbria continuerà a sostenere percorsi di formazione, digitalizzazione e certificazione di parità, strumenti essenziali per rendere l’impresa femminile un pilastro sempre più forte del nostro sviluppo economico e sociale. La crescita dell’Umbria passa anche dalla crescita delle sue imprenditrici”.

Meno imprese ma più robuste
Il decennio 2015-2025 ridisegna la geografia delle imprese femminili in Umbria. Se da un lato il numero complessivo cala – da 20.789 a 19.633, pari a -5,6% – dall’altro la solidità delle aziende “rosa” cresce. Gli addetti crescono da 49.594 a 52.563, con un incremento del 6% che segnala un percorso di consolidamento. Aumenta soprattutto la dimensione media: 2,68 addetti contro i 2,39 del 2015, +12,1%, un progresso ben superiore alla media nazionale (+8,7%).

È un segnale importante: le imprese femminili umbre restano più piccole delle maschili (4,14 addetti medi), ma accorciano le distanze. E soprattutto smettono di poggiare quasi esclusivamente sulla famiglia, aprendo a nuove forme di occupazione.

Un cambio culturale evidente
Dentro questi numeri si legge un cambiamento di prospettiva. In dieci anni gli addetti familiari si riducono del 15,7% (da 20.670 a 17.416), mentre crescono con forza gli addetti non familiari (+17,7%, da 28.924 a 35.147). Significa che sempre più imprenditrici scelgono di affidarsi a competenze esterne, assumendo dipendenti veri e propri. Una tendenza che, in proporzione, è quasi doppia rispetto a quella delle imprese maschili (+9,5%).

Il risultato è chiaro: meno attività a stretta conduzione familiare, più imprese professionalizzate. È un salto di qualità che cambia la natura del tessuto produttivo “rosa”, rendendolo più competitivo e pronto ad affrontare sfide complesse.

La sfida della sopravvivenza
Resta però un punto debole: la durata delle imprese femminili. I dati Unioncamere mostrano che a 5 anni dalla nascita sopravvive il 72,3% delle aziende “rosa”, contro il 77,3% di quelle maschili; oltre i 5 anni la distanza si allarga, 67,5% contro 73,1%. Un segnale che richiama l’urgenza di strumenti di accompagnamento più forti, per aiutare le imprese femminili a consolidarsi nel tempo.

Eppure, nonostante le difficoltà, le imprese femminili continuano a rappresentare un quarto del tessuto imprenditoriale umbro, con un peso leggermente sceso, in Umbria, dal 25,7% al 25,3%. Un dato che non toglie rilevanza al loro ruolo, sempre più centrale nelle dinamiche economiche locali.

Il nodo del credito
Altro fronte cruciale è quello del finanziamento. Solo poco più di un terzo delle imprese femminili ricorre a prestiti bancari, una quota simile a quella maschile. Ma le modalità di avvio mostrano una forte differenza culturale: tre imprenditrici su quattro iniziano con capitali personali o familiari, mentre solo una su quattro utilizza prestiti bancari (26,9% contro il 22,4% degli uomini).

L’uso di strumenti innovativi come business angels, venture capital o crowdfunding è marginale: meno dell’1%. Una scelta che garantisce autonomia finanziaria, ma che limita la possibilità di scalare i mercati. È qui che si gioca una partita decisiva per il futuro: aprirsi a fonti di capitale diversificate è ormai condizione indispensabile per crescere in un contesto competitivo globale.

Burocrazia e incentivi
Alle difficoltà di accesso al credito si sommano quelle legate agli incentivi pubblici. Oltre la metà delle imprese segnala ostacoli burocratici. Una imprenditrice su tre lamenta la complessità delle pratiche, mentre più di una su dieci sottolinea le attese troppo lunghe per ricevere concretamente i fondi.

Questa rigidità amministrativa rischia di vanificare l’impatto delle politiche pubbliche, soprattutto per le realtà più piccole, che non hanno uffici dedicati a seguire pratiche e scadenze. In molti casi, la burocrazia diventa un ostacolo alla competitività, più che uno strumento di sostegno.

Certificazione di parità in crescita, ma con ampi margini di miglioramento
Un segnale incoraggiante arriva dalla certificazione della parità di genere, introdotta dal PNRR e gestita da Unioncamere. A livello nazionale le imprese certificate sono passate dalle poche decine del 2022 alle 7.960 del 2025. Un progresso significativo, ma che riguarda ancora una quota molto limitata del tessuto produttivo italiano.

Considerato che in Italia le imprese femminili attive sono oltre 1,3 milioni, la certificazione oggi interessa solo una minoranza e lascia dunque ampi margini di crescita. Rafforzare questo strumento non significa solo ridurre il gender gap, ma anche rendere più trasparenti i processi interni, aumentare la reputazione e migliorare la competitività delle aziende, creando un ambiente più attrattivo per talenti e investimenti.

Il ruolo del comitato per l’imprenditoria femminile
Fondamentale, in questo scenario, il contributo del Comitato per l’imprenditoria femminile (CIF) della Camera di Commercio dell’Umbria. Presieduto da Dalia Sciamannini e coordinato sul piano dirigenziale dal vice segretario generale Giuliana Piandoro, il CIF promuove la cultura d’impresa, organizza attività di formazione, mentoring e networking, e offre strumenti per affrontare i nodi più critici, dal credito alla digitalizzazione.

Un lavoro costante che trasforma i numeri in occasioni concrete di crescita e accompagna le donne imprenditrici verso percorsi di maggiore autonomia e stabilità.

Lavoro dopo la laurea: i dati su chi ha studiato in Umbria

A un anno dalla laurea il 41% per cento di coloro che in Umbria hanno conseguito una laurea triennale risulta occupato. Una quota superiore a quella media nazionale, che è del 38,%. Circa la metà aveva scelto di proseguire gli studi o era impegnata in attività di praticantato, seppure con notevoli differenze in base all’area disciplinare.

Tra i laureati magistrali la quota di chi aveva trovato lavoro è del 74,5%, lievemente inferiore a quella
osservata in Italia; la percentuale di occupati risulta più elevata per l’area disciplinare sanitaria e agro-veterinaria (85,3%), a differenza di quanto rilevato nel Paese, in cui sono le discipline STEM a registrare la più alta quota di laureati occupati.

I dati dell’Istat sulle iscrizioni e cancellazioni all’anagrafe per trasferimento di residenza consentono di quantificare anche il grado di attrattività di una regione per i laureati. Al contrario di quanto osservato con riferimento alle iscrizioni universitarie – rileva la Banca d’Italia nell’ultimo rapporto sull’economia regionale, l’Umbria si caratterizza per una bassa capacità di attrarre e trattenere giovani laureati: dal
2013 il saldo tra ingressi e uscite è diventato negativo ed è progressivamente peggiorato a causa soprattutto della crescente propensione dei laureati umbri a trasferirsi verso il Nord Italia e verso l’estero.

Nel 2023, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, il tasso migratorio riferito ai laureati italiani tra 25 e 39 anni ha raggiunto un nuovo minimo (-4,8 ogni mille abitanti della stessa fascia di età) e risultava il peggiore tra le regioni del Centro-Nord