Skip to main content

Tag: lavoro

Cambia il lavoro in Umbria, ecco dove si assume

Dal Bollettino Excelsior emergono una crescita economica anemica e il lavoro che cambia in Umbria: deindustrializzazione e più servizi, luci e ombre della terziarizzazione avanzata. In soli due anni l’industria (comprese le costruzioni) è scesa dal 39,8% al 34,7% delle assunzioni previste.

Dalle previsioni degli imprenditori sugli avviamenti al lavoro emerge una regione che continua a creare occupazione, ma con un passo più lento mentre l’economia rallenta e la produttività ristagna o arretra, ampliando il fenomeno del lavoro “povero”. Industria in arretramento strutturale, servizi in espansione. Le imprese cercano profili che non trovano e i laureati restano ai margini. Un’Umbria che si trasforma, ma senza la spinta dell’innovazione. Non un crollo, non un’inversione brutale, ma un progressivo scivolamento verso un’economia più leggera, meno industriale, più legata ai servizi e, soprattutto, meno capace di valorizzare le competenze alte.

Il commento di Mencaroni

Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Il Bollettino Excelsior ci consegna dati che richiedono una lettura attenta. Il rallentamento della produttività e l’aumento dei lavori meno qualificati mostrano che il tema centrale è la qualità dello sviluppo, non solo la sua quantità. La struttura economica dell’Umbria sta cambiando in modo profondo: questo impone a tutti noi – imprese, istituzioni, mondo della formazione – uno sforzo ulteriore per elevare competenze, capacità innovative e solidità dei sistemi produttivi. La Camera di Commercio è da tempo impegnata in questa direzione, attraverso strumenti, servizi e iniziative che accompagnano i diversi comparti in un contesto complesso. I dati ci ricordano che la competitività del territorio dipende dalla capacità di affrontare questi passaggi con visione e responsabilità condivisa”.

Economia lenta, occupazione che cresce ma perde slancio e qualità

Nel primo semestre la crescita dell’Umbria si ferma allo 0,6%, informa la Banca d’Italia. Un numero piccolo, che però ha un significato preciso: la regione non si sta riducendo, sta semplicemente avanzando con meno energia. È la stessa fotografia che riguarda l’Italia, nonostante la coda lunga degli investimenti del Pnrr. E quando il motore gira piano, il mercato del lavoro inevitabilmente rallenta.

Le assunzioni previste per novembre – escluso il settore agricolo censito solo da metà 2025 e per il quale quindi non è possibile fare confronti con gli anni precedenti – scendono da 5.700 nel 2024 a 4.730 nel 2025: un calo del 17%. Una contrazione che sarebbe facile leggere come un arretramento, ma che di fatto segnala solo una crescita meno vivace. La base occupazionale umbra continua infatti ad ampliarsi, come ricorda Bankitalia, ma lo fa a un ritmo che rispecchia la condizione di un’economia in rallentamento.

Un dato non secondario emerge con forza: da anni l’occupazione cresce più del Pil. È il segnale inequivocabile di una produttività stagnante, quando non in diminuzione. E questo squilibrio produce effetti molto concreti: aumento dei lavori instabili, salari più bassi, contratti più fragili: da qui l’allargarsi del fenomeno del lavoro “povero”, che è la vera ombra sotto la superficie dei numeri.

Industria: una crisi che non passa, ma si stabilizza

Il cuore della fragilità umbra resta l’industria. Le assunzioni previste a novembre calano da 2.220 nel 2024 a 1.640 nel 2025. La discesa non ha più i tratti dell’oscillazione ciclica: è diventata una condizione stabile e strutturale. L’Umbria perde industria come il resto d’Italia, ma lo fa con un’intensità maggiore. Ogni anno si assottiglia la base produttiva, si riduce la capacità innovativa e il tessuto manifatturiero perde pezzi.

Anche i servizi segnano una flessione (da 3.480 a 3.090), pur restando il pilastro dell’occupazione regionale. L’agricoltura registra 430 avviamenti previsti (nel complesso, se si comprende l’agricoltura, le assunzioni previste in Umbria a novembre sono 5.170).

Nel trimestre novembre-gennaio, le imprese umbre programmano 16.130 assunzioni. È un numero che testimonia vitalità, ma incontra un ostacolo ormai strutturale: nel 53% dei casi, le aziende non trovano le figure di cui hanno bisogno. Un valore molto superiore alla media italiana (45,7%), segno che la distanza fra domanda e offerta continua ad ampliarsi. La difficoltà non riguarda tanto la qualità dei candidati quanto la loro assenza.

La debolezza dell’Umbria nell’attrarre e impiegare competenze elevate

Il 10% di assunzioni destinate a laureati è un dato che fotografa una debolezza storica. L’Italia si ferma al 13%, già insufficiente in chiave europea. L’Umbria va ancora più indietro.

E lo stesso accade per dirigenti, specialisti e tecnici: 13% delle entrate previste, contro il 17% nazionale.

Sono cifre che dicono una cosa semplice: l’economia umbra funziona, ma fatica a crescere qualitativamente. Non produce abbastanza lavori ad alto valore aggiunto, non trattiene i giovani formati, non crea un ecosistema competitivo. L’esito è noto: fuga di competenze, indebolimento del capitale umano, prevalenza di mansioni tradizionali.

Servizi in espansione: commercio, turismo, cura

Il cambiamento strutturale dell’Umbria è evidente confrontando i dati con quelli di due anni fa. L’industria (costruzioni incluse) passa dal 39,8% al 34,7% delle assunzioni previste, al netto dell’agricoltura per cui, come detto, non sono possibili confronti con gli anni antecedenti il 2025. Simmetricamente crescono i servizi (al netto dell’agricoltura, assorbono il 65,3% delle previsioni di assunzione da parte degli imprenditori, mentre al lordo dell’agricoltura la percentuale è del 61,7%).

Il commercio avanza dal 14,9% al 18,2%, il turismo dal 15,6% al 17,1%, i servizi alla persona dal 9,6% al 10,6%. Le costruzioni frenano, scendendo dal 14,3% al 12,1%, segno di un settore che esaurisce la stagione straordinaria degli incentivi.

Il punto critico resta l’assenza di un vero terziario innovativo. La regione si muove, cambia forma, amplia i servizi tradizionali, ma non inserisce quella componente avanzata che altrove è il motore della crescita, della competitività e della qualità del lavoro.

Lunedì apre il McDonald’s a Orvieto Scalo, si seleziona ulteriore personale

L’attesa è ormai finita. Sarà infatti inaugurato lunedì 17 novembre, alle 13 ad Orvieto Scalo, il McDonald’s di via Angelo Costanzi. Costruito in tempi record e pronto ad accogliere i golosi di hamburger e patatine fritte.

Un’apertura che segna un ulteriore passo nell’espansione del celebre marchio statunitense nel territorio, con un locale moderno, sostenibile e aperto sette giorni su sette. Il nuovo punto vendita, che si estende su circa 350 metri quadrati, sviluppato su due piani offre circa 200 posti a sedere, tra area interna ed esterna.

Il design è ispirato ai più recenti format del brand, con un’attenzione particolare all’efficienza energetica e all’esperienza digitale. I clienti potranno, infatti, ordinare tramite touchscreen interattivi o utilizzare l’app ufficiale per il servizio di McDrive e McDelivery.

Paolo Orabona: “Punto di riferimento per la comunità”

“Sono entusiasta di annunciare l’apertura di un nuovo ristorante McDonald’s proprio qui a Orvieto, città con una forte vocazione turistica” commenta Paolo Orabona, licenziatario McDonald’s. “Il mio obiettivo, insieme con tutto il mio team – aggiunge – è quello di offrire momenti unici di convivialità e il nostro pieno supporto al territorio locale, generando non solo occupazione ma anche valore sociale. Sono sicuro che, con i nostri servizi e la nostra nuova offerta di ristorazione in questa parte della città, potremo diventare un punto di riferimento per tutta la comunità locale”.

A regime 60 posti di lavoro

Il ristorante ha già selezionato e formato una trentina di giovani. Ed è in cerca di ulteriore personale in linea con il Piano di crescita nazionale, che per il 2025 prevede l’assunzione di 5.000 persone in tutta Italia. Ad Orvieto si punta ad arrivare a circa 60 posti di lavoro complessivi. Chiunque fosse interessato può presentare la propria candidatura direttamente nel nuovo locale, dove a breve sarà tagliato il nastro.

McDonald’s in Umbria e in Italia

Il McDonald’s di Orvieto Scalo sarà aperto dalla domenica al giovedì dalle 7.30 a mezzanotte (la corsia drive resterà aperta fino all’1). Nelle giornate di venerdì e sabato, invece, la chiusura è all’1 (la corsia drive alle 2). Con questa nuova apertura, McDonald’s in Umbria raggiunge quota 14 ristoranti (10 in provincia di Perugia, 3 a Terni).

In Italia da 39 anni, il marchio conta oggi oltre 770 ristoranti in tutto il Paese per un totale di 38.000 persone impiegate che servono ogni giorno 1.2 milioni di clienti. I ristoranti McDonald’s italiani sono gestiti per il 90% secondo la formula del franchising grazie agli oltre 160 imprenditori locali che testimoniano il radicamento del marchio al territorio. Anche per quanto riguarda i fornitori, McDonald’s conferma la volontà di essere un marchio “locale”. Ad oggi la maggior parte dei fornitori infatti sono italiani. Nel mondo McDonald’s è presente in oltre 100 Paesi con più di 41.000 ristoranti.

Per ulteriori informazioni:
www.mcdonalds.it 

“Protocollo sicurezza e qualità del lavoro”, Uil in audizione in Regione

La Seconda e la Terza commissione dell’Assemblea legislativa si sono riunite in seduta congiunta per l’audizione dei rappresentanti della Uil Umbria, che hanno presentato il “Protocollo regionale per la sicurezza e la qualità del lavoro negli appalti pubblici della Regione Umbria”.

Il segretario generale della Uil Umbria, Maurizio Molinari, ha parlato delle difficoltà dei lavoratori delle cooperative, anche per chi ha un contratto a tempo indeterminato, a “passare attraverso trattative lacrime e sangue non per quanto c’è scritto sul capitolato d’appalto, ma per l’utilizzo del criterio del massimo ribasso, che riduce il margine delle cooperative e gli stipendi stessi, lasciando i lavoratori alle prese con grandi disagi in quanto, nonostante titolari di una posizione lavorativa si trovano in difficoltà anche per ottenere risorse dagli istituti di credito, rimanendo nella impossibilità di affrontare il proprio futuro. Con il protocollo che presentiamo all’attenzione dell’Assemblea legislativa noi vogliamo ridare dignità al lavoro e garantire anche la sicurezza di chi lavora, quindi no al massimo ribasso o a gare prive di certificazioni adeguate. E in corso d’opera vi sia la possibilità che l’appalto possa essere ritirato. La legge ‘2/2024’ ha bisogno di fare un passo avanti. Chi ha un contratto a tempo indeterminato deve avere la stessa busta paga indipendentemente dal cambio di appalto, non dover ricominciare daccapo senza nemmeno sapere se il giorno dopo lavorerà. Il protocollo, firmato da tutti i capigruppo in Regione, è di enorme importanza, andiamo fino in fondo, integriamo la legge e facciamo un salto di qualità, saremmo la prima Regione a mettere in campo una legge che ridà dignità ai lavoratori ora privi di certezze quando cambia l’appalto”.

Il protocollo

La Regione, in qualità di stazione appaltante, dovrà esaminare gli appalti dando luogo ad incontri preventivi. Dovrà essere prevista l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e integrativi, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente e maggiormente rappresentative sul piano nazionale, questo risulterà utile anche per affrontare il dumping contrattuale, un problema da affrontare concretamente. Per quanto concerne l’edilizia va prevista l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa edile. La clausola sociale deve essere vincolante per tutte le stazioni appaltanti, sempre orientata alla stabilità occupazionale e al riassorbimento del personale. Va superato il criterio del massimo ribasso a fronte di un ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Va anche arginato il ricorso al subappalto, possibile causa di situazioni di frammentazione delle responsabilità e l’indebolimento delle tutele lavorative e previdenziali. La parte pubblica deve riconoscere l’importanza della tracciabilità nei cantieri quale presidio di legalità, sicurezza e regolarità contributiva. Nei capitoli speciali di appalto relativi a lavori pubblici va dunque inserito l’obbligo di applicazione delle procedure del ‘Cantiere trasparente’. Ogni cantiere dovrà essere tracciabile, vigilato, regolamentato e abitato da lavoratori consapevoli, protetti, formati e dignitosamente retribuiti. Altri punti cardine saranno quelli della trasparenza, del contrasto totale alle infiltrazioni della criminalità, la regolarità contributiva e pagamenti e retribuzioni dignitose.

Molinari: il nostro un intento costruttivo

Questo il commento del segretario della Uil Umbria, Maurizio Molinari: “E’ iniziato, con la nostra audizione, il percorso che ha portato il Protocollo regionale per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro elaborato dalla Uil, all’attenzione della Regione. Abbiamo infatti partecipato all’incontro con la Seconda e la Terza commissione di Palazzo Cesaroni, spiegando quanto il nostro intento sia costruttivo: dare una direzione che possa anche essere la base per nuova normativa in grado di incidere anche sulla giungla degli appalti, che poi si ripercuote sulla sicurezza sul lavoro. L’obiettivo è quello ridare dignità al lavoro”.

“Ringraziamo tutti i capigruppo che avevano firmato la proposta, i presidenti delle Commissioni Letizia Michelini e Luca Simonetti e tutti i consiglieri che hanno partecipato all’incontro, per lo spirito costruttivo dimostrato che mette al centro l’obiettivo e non la bandierina politica. Auspichiamo dunque che il percorso possa andare avanti, con il contributo di tutti i portatori di interesse, a tutela del lavoro e dei lavoratori e affinché la nostra Regione possa essere di nuovo un esempio per buone pratiche. Da parte nostra – assicura Molinari – ci sarà il massimo dell’attenzione, della disponibilità e della sensibilità per un lavoro aperto, inclusivo e concreto che porti risultati tangibili quanto prima”.

In Umbria 371mila lavoratori non in regola

Degli oltre 371mila occupati in Umbria, più di 35mila sono irregolari. La Cgia stima una percentuale di irregolarità del 9,5%. In una classifica negativa guidata dalla Calabria e che conta in tutta Italia quasi 2 milioni e mezzo di irregolari (per una media del 9,7%).

Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva. In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.200 abitanti della Campania.

Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17,1%. Seguono la Campania con il 14,2%, la Sicilia con il 13,6% e la Puglia con il 12,6%.

(immagine generica d’archivio)

“Sistema integrato mercato del lavoro”, l’Umbria adegua la sua legge al Pnrr

La Terza commissione dell’Assemblea legislativa umbra, dopo la presentazione di istruttorie ed emendamenti, ha approvato a maggioranza (astenuti i consiglieri di opposizione) il disegno di legge predisposto dalla Giunta, che verrà inviato all’Aula per essere approvato il 25 settembre, nel rispetto
delle tempistiche previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Si modifica dunque la legge regionale n.1/2018 “Sistema integrato per il mercato del lavoro, l’apprendimento permanente e la promozione dell’occupazione. Istituzione dell’Agenzia regionale
per le politiche attive del lavoro (Arpal)”, secondo le richieste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

I lavori sono stati aperti dall’illustrazione delle istruttorie degli Uffici e degli emendamenti presentati dalla Giunta, che armonizzano e adattano le prescrizioni del Pnrr al testo della vigente legge regionale. L’iniziativa legislativa dell’Esecutivo di Palazzo Donini segue la procedura d‘urgenza in ragione del termine
del 30 settembre 2025 stabilito per l’adeguamento delle leggi regionali alla “Missione 7-10 Riforma 5 – Piano nuove competenze – transizioni” del Pnrr.

Il testo verrà inviato all’Aula per essere approvato nella seduta del 25 settembre: relatori Luca Simonetti
(maggioranza) e Eleonora Pace (minoranza).

Lavoro, è l’artigianato a trainare la ripresa dei piccoli centri terremotati

L’artigianato guida la ripresa dell’economia nelle zone terremotate. Se si esclude Spoleto, negli altri 14 comuni del cosiddetti “cratere” dieci anni dopo il sisma del 2016 si registra un +11% di addetti. Nello stesso periodo, l’Umbria ha visto un calo del 4,3% e l’Italia del 7,2%.

I dipendenti subordinati registrano un +39,5 (Umbria +1,5% e Italia -6,2%). Complessivamente imprese in calo dell’11,2%: questo significa che ce ne sono di meno, ma sono più strutturate e in grado di assicurare più occupazione.

E’ quanto mostra, in sintesi, il report della Camera di Commercio dell’Umbria, nell’ambito del Progetto Fenice.

Meno imprese, ma più addetti

L’analisi copre il decennio dal secondo trimestre 2015 al secondo trimestre 2025, includendo il 2019 come anno pre-pandemico. Nei comuni montani del cratere (Arrone, Cascia, Cerreto di Spoleto, Ferentillo, Montefranco, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Polino, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano e Vallo di Nera) escludendo Spoleto che, essendo una città, ha dinamiche sue proprie differenti dalla situazione più omogenea esistente negli altri comuni, le imprese artigiane attive sono calate da 489 a 411, con una perdita dell’11,2%.

Numeri peggiori della media regionale (-5,5%) e nazionale (-4%). Ma dietro questa contrazione si cela un paradosso positivo: gli addetti sono aumentati dell’11%, passando da 1.008 a 1.149. Una dinamica positiva che va in direzione opposta rispetto al resto del Paese: l’Umbria ha perso 3.936 addetti (-4,3%), l’Italia addirittura 214mila (-7,2%).

È il segnale che, seppur meno numerose, le imprese artigiane rimaste hanno saputo irrobustirsi, assumere e crescere di dimensione. La media è salita da 2,1 a 2,8 addetti per azienda, ribaltando il rapporto con la regione che nel 2015 aveva valori più alti.

Tanti dipendenti subordinati

Il vero spartiacque è nella qualità dell’occupazione. Nei 14 comuni del cratere, i dipendenti subordinati – lavoratori dipendenti veri e propri, non familiari – sono aumentati del 39,5%: da 370 a 629. Un dato che fa impressione se confrontato con l’Umbria (+1,5%) e con l’Italia, che ha perso il 6,2%.

In parallelo i collaboratori familiari sono scesi da 638 a 520 (-20,2%). Nel 2015 erano quasi il doppio dei dipendenti, nel 2019 si erano equilibrati, nel 2025 i subordinati hanno preso il sopravvento. È la fine del modello tradizionale e l’inizio di un artigianato più moderno, che non si regge solo sul nucleo familiare ma apre le porte a professionalità esterne.

Un passaggio che segna la differenza tra resistere e competere. E che racconta come il terremoto, pur devastante, abbia accelerato una trasformazione che altrove fatica a decollare.

Male Spoleto

Se si include Spoleto, il quadro resta positivo ma si smorza. La città, con oltre 36mila abitanti – più di tutti gli altri 14 comuni messi insieme – riduce la crescita degli addetti allo 0,6% e frena l’aumento dei dipendenti al 9,1%.

Le dinamiche spoletine, più simili al trend regionale, non agganciano la stessa traiettoria di rafforzamento. Il cratere montano appare così come un contesto a sé, più coeso e più segnato dalla ricostruzione, mentre Spoleto segue un percorso urbano e meno trainato dall’emergenza post-sisma.

I settori che trainano

Dentro i numeri si vedono i mestieri che hanno beneficiato di più. In dieci anni, gli addetti legati all’alloggio e alla ristorazione sono quasi raddoppiati, da 109 a 213, spinti dalla presenza del personale dei cantieri della ricostruzione e dalla ripresa post terremoto di un certo flusso turistico.

La manifattura cresce da 831 a 879 addetti, segno che anche i settori tradizionali possono adattarsi. L’agricoltura artigiana rimane stabile con 79 addetti, mentre trasporti e magazzinaggio segnano una leggera contrazione. Le “altre attività di servizi”, che includono anche comparti innovativi, assorbono circa 400 occupati.

Oltre la ricostruzione

La domanda è inevitabile: cosa accadrà quando i cantieri finiranno? La ricostruzione ha agito da motore straordinario, ma non potrà durare all’infinito. Se non si consolida ora la crescita, il rischio è di perdere terreno.

La priorità è rendere strutturale l’irrobustimento, puntando su innovazione, formazione, filiere e attrazione di giovani. Non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo.

La sfida sociale e il Progetto Fenice

Accanto ai segnali positivi, resta aperta una sfida cruciale: quella demografica. Il cratere montano soffre infatti di spopolamento e invecchiamento della popolazione, con il rischio che la vitalità economica non trovi nuova linfa nelle generazioni future. Perché la crescita non resti un episodio legato solo alla ricostruzione, occorre attrarre giovani e competenze innovative, trasformando questi territori in luoghi capaci di offrire opportunità stabili. Le risorse del PNRR, la spinta della digitalizzazione e le opportunità della transizione verde possono diventare leve decisive per consolidare i risultati e garantire che l’artigianato del cratere resti competitivo anche oltre l’emergenza. E in questo contesto si inserisce il Progetto Fenice, nato dalla collaborazione fra Università per Stranieri di Perugia, Comune di Norcia, Camera di Commercio dell’Umbria e Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica, per aiutare concretamente a ricostruire il tessuto sociale, culturale ed economico delle aree colpite dal sisma.

La dichiarazione di Mencaroni

Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Questi numeri ci dicono che la montagna umbra del cratere, pur ferita dal sisma del 2016, ha reagito con una sorprendente capacità di rafforzamento. Meno imprese ma più solide, più grandi, con più occupati, mentre la regione e l’Italia hanno perso terreno. La spinta della ricostruzione ha avuto un ruolo decisivo, ma la vera sfida è andare oltre e rendere strutturale questa crescita. Dobbiamo accompagnare le aziende nell’innovazione e nell’accesso a nuove competenze, perché l’artigianato non può restare legato soltanto all’onda lunga dell’emergenza. Il capitale umano è il cuore di questo processo – sottolinea Mencaroni – e come Camera di Commercio continueremo a sostenerlo con strumenti concreti di sviluppo territoriale. Perché non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida – conclude – è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo”.

In 6 anni l’economia orvietana ha perso 500 posti di lavoro

Oltre cinquecento posti di lavoro persi dal 2019 al 2015. Un lasso di tempo passato in rassegna dall’ultima analisi statistica effettuata da Matteo Tonelli, per Cts, Cittadinanza., territorio, sviluppo.

Le imprese sono diminuite in misura contenuta, passando da poco più di duemila nel 2019 a meno di duemila nel 2025, ma dietro questa stabilità numerica si nasconde una dinamica molto più problematica: il numero di addetti si è ridotto di quasi mezzo migliaio. In altre parole, le aziende resistono ma occupano meno persone, diventano più leggere e spesso riducono le loro dimensioni operative. È un segnale di progressiva fragilità che rischia di incidere sulla capacità della città di generare reddito e mantenere coesione sociale.

La fotografia dei settori è ancora più eloquente. Il manifatturiero rappresenta la vera area critica: il numero delle imprese è calato solo leggermente, ma gli addetti sono crollati di quasi il 40%. È il segnale di una deindustrializzazione che lascia dietro di sé strutture svuotate e competenze disperse. Anche l’agricoltura soffre, con un calo di manodopera di quasi un quinto: le imprese restano, ma sempre più ridotte e spesso senza un adeguato ricambio generazionale.

In controtendenza si muovono invece le costruzioni e il settore immobiliare, che hanno conosciuto anni di forte vitalità, legata soprattutto alle misure di incentivo edilizio e al crescente bisogno di riqualificazione urbana. Il commercio racconta una storia diversa: meno negozi ma più addetti. Si riducono i punti vendita di prossimità, cresce la concentrazione nelle catene e nelle strutture organizzate. È un processo che cambia il volto dei centri storici, con un impatto diretto sulla vita quotidiana.

Più incoraggianti i segnali dal turismo e dalla ristorazione: dopo lo shock del covid, il settore ha ripreso vigore, riportando l’occupazione a crescere e consolidando Orvieto come meta culturale ed enogastronomica.

Infine, il comparto dei servizi professionali mostra una crescita lenta ma costante: sempre più imprese e addetti operano nella consulenza e nelle attività legate alla conoscenza.

Se queste tendenze dovessero proseguire senza correttivi, nel 2030 Orvieto conterebbe meno di 1.900 imprese e poco più di 6.700 addetti. Una riduzione non drammatica nei numeri assoluti, ma che conferma la traiettoria di fondo: il sistema economico diventa progressivamente più frammentato, con imprese piccole e con poca forza lavoro. Si rischia così di accentuare la fragilità sociale ed economica, con meno opportunità per i giovani e una dipendenza crescente da pochi settori.

Mentre l’Umbria nel suo complesso ha conosciuto negli ultimi due anni una fase di crescita, con un tasso di occupazione che ha superato la media nazionale, Orvieto ha continuato a perdere addetti. L’Italia, nel 2024, ha aggiunto oltre 350mila occupati, mentre la città ha registrato un calo anche nei mesi più recenti. Alcuni andamenti locali si muovono però in linea con le dinamiche macro: le costruzioni hanno beneficiato del boom nazionale dei bonus edilizi; il turismo, in forte crescita in tutta l’Umbria, ha avuto effetti positivi anche ad Orvieto. Ma la manifattura locale soffre più che altrove, e l’agricoltura conferma le difficoltà comuni a livello nazionale, con margini sempre più stretti e un problema serio di ricambio generazionale.

Lavoro, l’Umbria tra le regioni dove è più difficile reperire manodopera

L’Umbria è sul podio, non certo invidiabile, delle regioni italiane dove gli imprenditori fanno più fatica a trovare le figure che vogliono assumere. Un problema che si presenta nel 55% delle assunzioni programmate. Fenomeno inferiore solo a quello che si registra in Trentino Alto Adige (56,5%) e in Friuli Venezia Giulia (55,3%). A fronte di una media italiana che è del 47,8%.

Nelle province

L’analisi della Cgia valuta il fenomeno nei territori, analizzando i dati delle province. Perugia è la nona in Italia, con la difficoltà di reperimento che raggiunge il 55,1%. Meno peggio Terni, dove il fenomeno riguarda il 54,5% delle assunzioni programmate.

Guardando al resto d’Italia, Pordenone è la provincia dove gli imprenditori faticano più di tutti gli altri colleghi d’Italia a trovare un lavoratore dipendente; nel 2024 la difficoltà di reperimento della realtà friulana è stata del 56,8%. Seguono Bolzano e Trento con il 56,5, Gorizia con il 56,1 e Cuneo con il 55,9.

Caserta con il 39,3%, Salerno con il 38,3 e, infine, Palermo con il 36,9 sono i territori dove è più facile reperire la manodopera richiesta.

Le figure introvabili

La Cgia mostra come il problema riguardi soprattutto operai specializzati, in ogni settore. Nell’edilizia mancano carpentieri, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, pavimentatori/piastrellisti, palchettisti e gruisti/escavatoristi. Nel comparto del legno sono quasi introvabili i verniciatori, gli ebanisti, i restauratori di mobili antichi e i filettatori attrezzisti. Nel tessile-abbigliamento si faticano ad assumere modellisti, confezionisti e stampatori. Nel calzaturiero, invece, tagliatori, orlatori, rifinitori e cucitori. Nella metalmeccanica, infine, la maggiore difficoltà di reperimento riguarda tornitori, fresatori, saldatori certificati, operatori di macchine a controllo numerico computerizzato e i tecnici di
montaggio per l’assemblaggio dei componenti complessi.

La ricerca di operai specializzati

Sempre secondo l’elaborazione della Cgia, nel 2024, su un totale di 5,5 milioni di nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro, quasi 840 mila (pari al 15 per cento del totale delle entrate attese) hanno riguardato operai specializzati. La ricerca di queste figure si è rivelata particolarmente impegnativa: nel 63,8% dei casi, infatti, gli imprenditori hanno segnalato notevoli difficoltà nel reperimento e, quando la selezione ha avuto esito positivo, il processo ha richiesto in media quasi cinque mesi. Nessun’altra professione richiesta dalle aziende ha evidenziato livelli di difficoltà e tempi di ricerca superiori a quelli riscontrati per gli operai specializzati.

Lavoro stabile, al via gli incentivi alle imprese

Occupazione stabile, al via gli incentivi. Da oggi, lunedì 25 agosto, le imprese umbre possono presentare domanda per accedere agli incentivi previsti dall’avviso pubblico “Incentivi per l’occupazione stabile nel 2025”, finanziato con risorse del Programma regionale Umbria FSE+ 2021–2027 – Asse I Occupazione e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

L’avviso mette a disposizione 5 milioni di euro complessivi per sostenere le imprese che, tra il 1° agosto e il 31 dicembre 2025, abbiano effettuato assunzioni a tempo indeterminato, attivato contratti di apprendistato o stabilizzato rapporti di lavoro precari. La richiesta non deve essere preventiva, ma deve riguardare assunzioni o stabilizzazioni già effettuate al momento della domanda, ad eccezione di quelle realizzate nei primi 25 giorni del mese di agosto, che saranno comunque ammesse.

Gli incentivi vanno da 9.000 a 15.000 euro per ciascun lavoratore assunto o stabilizzato, con importi maggiori riconosciuti per l’inserimento di giovani laureati per mansioni che prevedono il titolo di studi accademico e per le assunzioni di persone con disabilità oltre la quota di legge. È inoltre prevista una prima scadenza il 30 settembre 2025: le domande arrivate entro tale data saranno ammesse a valutazione senza attendere la chiusura definitiva dell’avviso, fissata al 31 dicembre. Arpal Umbria potrà chiudere anticipatamente la procedura solo se le richieste supereranno di tre volte la dotazione finanziaria.

Un elemento che caratterizza l’avviso è l’introduzione di un meccanismo di erogazione che consentirà alle imprese di disporre più velocemente delle risorse richieste senza sostenere spese per garanzie fideiussorie: gli incentivi saranno liquidati per il 50% dopo sei mesi dall’assunzione o dalla stabilizzazione e per la restante parte dopo 12 mesi. Si tratta di un aspetto determinante per semplificare le procedure, alleggerire il carico finanziario delle aziende e favorire così nuove opportunità di lavoro stabile.

“Con questa misura – spiega l’assessore allo sviluppo economico, al lavoro e alle infrastrutture Francesco De Rebotti – mettiamo a disposizione delle imprese umbre strumenti concreti per creare occupazione stabile, con un’attenzione particolare ai lavoratori più fragili e ai giovani laureati. È un passo importante per contrastare la precarietà e la fuga di competenze, frutto di un percorso di concertazione che ha visto il contributo delle rappresentanze datoriali. Arpal Umbria è costantemente a disposizione delle imprese e dei consulenti del lavoro per fornire chiarimenti e accompagnare le aziende nella fase di presentazione delle domande”.

In Umbria da qui al 2029 quasi 45mila lavoratori da sostituire

In Umbria da qui al 2029 si dovranno sostituire circa 44.800 lavoratori (di cui 20.100 del settore privato) che andranno in pensione o comunque lasceranno la propria occupazione per dedicarsi ad altro. E’ la stima fatta dalla Cgia, valutando i futuri pensionamenti e gli abbandoni.

Un fenomeno che si stima in Italia interesserà poco più di 3 milioni di lavoratori, pari al 12,5% circa del totale nazionale. Ponendo problematiche di natura sociale ed economica. Certo, occorre anche considerare la velocità con cui sta cambiando il lavoro in alcuni settori, soprattutto quelli a più alto contenuto tecnologico o di automatizzazione. Basti pensare all’impatto che si stima avrà nei prossimi anni nel mondo del lavoro l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

A livello nazionale, oltre 7 sostituzioni su 10 interesseranno il settore di servizi, con uscite particolarmente importanti nel commercio (379.600 unità), nella sanità pubblica/privata (360.800) e nella Pubblica Amministrazione (331.700). Nell’industria, la Cgia segnale il numero di rimpiazzi a cui dovrà essere sottoposto il comparto delle costruzioni (179.300).

L’Umbria risulta a tranche le regioni con un indice di anzianità dei dipendenti del settore privato superiore alla media nazionale. Il rapporto tra gli over 55 egli under 35, che appunto per convenzione fissa questo indice, in Puglia è di 73.3, a fronte di una media italiana che è di 65.2.