
Sostenibilità e imprese coesive, così l’Umbria nel rapporto Symbola-Unioncamere
Nel 2024 le imprese coesive italiane – cioè quelle che coltivano legami solidi con lavoratori, clienti, territori, istituzioni, scuola, terzo settore – sono arrivate al 44% del totale delle manifatturiere. Un dato in netta crescita: erano il 32% nel 2018.
Si tratta di imprese che valorizzano il rapporto con i propri lavoratori non solo per senso di responsabilità sociale, ma perché comprendono come la soddisfazione e il coinvolgimento delle persone si traduca anche in migliori performance sul mercato, in una maggiore attrattività per talenti e investimenti, in una più solida competitività.
Ecco perché la loro presenza diventa importante in un territorio. Il Rapporto Coesione è Competizione 2025, promosso da Fondazione Symbola, Intesa Sanpaolo, Unioncamere e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne in collaborazione con AICCON e IPSOS, confronta il livello delle imprese coesive nelle diverse regioni e province italiane.
In Italia
Anche i dati relativi al 2024 confermano una presenza pressoché disomogenea delle imprese coesive sul territorio nazionale, fortemente concentrate in poche regioni perlopiù del Nord. Infatti, le regioni settentrionali continuano ad ospitare il maggior numero di imprese coesive (il 66,4% del totale) mentre nel Mezzogiorno trovano localizzazione il 15,6% delle imprese coesive e nel Centro il complementare 18,0%. Il 52,3% delle imprese coesive risulta concentrato in tre sole regioni: Lombardia (25,0%), Veneto (15,2%) ed Emilia- Romagna (12,1%); una quota molto significativa e in leggero aumento rispetto al 2022 (quando era pari al 50%) e al 2023 (51,7%). Anche Toscana e Piemonte registrano una percentuale elevata di imprese coesive, rispettivamente pari 9,4% e 8,1%.
È importante però esaminare la presenza delle imprese coesive nelle regioni italiane in termini relativi, rapportando quindi nei vari territori la numerosità delle imprese coesive sul totale delle imprese manifatturiere con un numero di addetti compreso tra 5 e 499. Le sette regioni che registrano una quota superiore alla media nazionale (44%) sono tutte del Nord. Tra queste, il Trentino-Alto Adige si colloca al primo posto (dove sono coesive 58 imprese manifatturiere ogni 100). Seguono, a parimerito, con il 49% delle imprese manifatturiere coesive l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta (la quale, tuttavia, si posiziona all’ultimo posto della graduatoria relativa alla distribuzione nazionale in termini assoluti). L’incidenza di imprese coesive è altresì molto elevata in Veneto (48%), Lombardia (46%) e Piemonte (45%).
Di contro, chiudono la graduatoria la Liguria, la Calabria e la Sicilia (con il 36% di imprese manifatturiere coesive) e la Basilicata (27%).
Proprio l’impegno nei confronti dell’ambiente è uno degli indicatori presi in considerazione per l’identificazione dei cosiddetti “territori coesivi”. Approssimando, infatti, l’attenzione alla sostenibilità e alla tutela dei territori con il dato relativo alla produzione e raccolta
differenziata dei rifiuti urbani, si osserva come nelle regioni dove vi è un più alto tasso di riciclo dei rifiuti si registra anche una maggiore presenza di imprese coesive; stiamo parlando in particolar modo delle regioni del Nord Italia come il Veneto, l’Emilia Romagna, il Trentino-Alto Adige, la Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e il Piemonte.
Viceversa, nelle regioni dove vi è una minore attenzione alla raccolta differenziata si osserva un minor numero di imprese coesive, come avviene in tutte le regioni del Sud ad eccezione della Sardegna, e in Liguria e nel Lazio.
In Umbria
La Camera di commercio dell’Umbria analizza in particolare la situazione nella regione. Che sulla coesività delle proprie imprese, si racconta male: le attività coesive non sono poche, ma ancora troppo nell’ombra.
Il peso delle imprese coesive umbre è infatti ancora marginale, ma significativo. Nel 2024 sono arrivate al 44% del totale delle manifatturiere. Un dato in netta crescita: erano il 32% nel 2018.
L’Umbria, in questo scenario, rappresenta circa il 2% delle imprese coesive italiane. Un numero modesto se letto in assoluto, ma non irrilevante se si considera che il PIL regionale pesa solo per l’1,4/1,5%% sul totale nazionale. Significa che la propensione alla coesione è sopra media, anche se ancora troppo invisibile.
È nel comparto manifatturiero che l’Umbria mostra i segnali più promettenti. Qui, quasi il 40% delle imprese è classificato come coesivo. La regione si colloca all’11° posto tra le 20 regioni italiane per incidenza di imprese manifatturiere coesive.
Lontana dalle eccellenze come il Trentino Alto Adige (quasi 60%) o l’Emilia-Romagna (quasi 50%), ma comunque sopra il Lazio (anch’esso prossimo al 40%), sopra le Marche, e non distante dalla Toscana, che si attesta attorno al 40%.
Un dato solido, che segnala la presenza in Umbria di una manifattura relazionale, collaborativa, aperta, anche se ancora poco visibile e scarsamente sostenuta da politiche dedicate.
Il rapporto distingue i territori in base all’intensità coesiva. Il Nord dell’Umbria, e in particolare la provincia di Perugia, mantiene una struttura relazionale attiva: più imprese coesive, più reti locali, più interconnessioni. Il Sud, invece – Terni e l’area industriale circostante – scivola tra le aree meno coesive d’Italia. È un problema che va oltre i numeri: riflette anni di deindustrializzazione, perdita di capitale umano, debolezza del tessuto associativo e imprenditoriale.
Ricucire questa frattura è la vera sfida regionale per trasformare l’Umbria in un laboratorio nazionale di coesione economica.
L’Umbria supera la media nazionale nella raccolta differenziata, dimostrando attenzione ambientale e senso civico. Anche l’utilizzo delle biblioteche, i dati sulla partecipazione civica e la fiducia interpersonale sono incoraggianti.
È un capitale sociale vivo, spesso più forte nei piccoli centri che nelle città. Un potenziale che può e deve essere messo al servizio dell’economia, a partire dalle imprese più avanzate.
Non mancano però i punti deboli. Innanzi tutto, la natalità imprenditoriale: l’Umbria è al 17° posto tra le 20 regioni italiane: avviare un’impresa, specie per i giovani, resta complicato. E poi il valore aggiunto pro capite, indicatore chiave della capacità produttiva e del benessere economico: l’Umbria è solo 13ª: troppo indietro rispetto ai territori coesivi del Nord.
Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “L’Umbria non è in ritardo sulla coesione: è inascoltata. Abbiamo imprese che investono in capitale umano, che collaborano con il territorio, che innovano senza clamore e creano valore condiviso, ma restano ai margini del racconto nazionale. Serve una narrazione forte, radicata nei dati e nelle esperienze, che restituisca visibilità a questo patrimonio nascosto. Dobbiamo uscire dalla retorica dei territori fragili e iniziare a parlare di territori intelligenti, capaci di tenere insieme sostenibilità, competitività e legami sociali. Non si cresce da soli: l’ecosistema imprenditoriale funziona se c’è coesione. Il nostro compito, come istituzioni, è attivare connessioni, rafforzare le reti e valorizzare chi già opera con questa visione. Non è tempo di attendere: è tempo di rendere visibile ciò che funziona e metterlo al centro delle politiche di sviluppo”.