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artigianato zone terremotate

Lavoro, è l’artigianato a trainare la ripresa dei piccoli centri terremotati

L’artigianato guida la ripresa dell’economia nelle zone terremotate. Se si esclude Spoleto, negli altri 14 comuni del cosiddetti “cratere” dieci anni dopo il sisma del 2016 si registra un +11% di addetti. Nello stesso periodo, l’Umbria ha visto un calo del 4,3% e l’Italia del 7,2%.

I dipendenti subordinati registrano un +39,5 (Umbria +1,5% e Italia -6,2%). Complessivamente imprese in calo dell’11,2%: questo significa che ce ne sono di meno, ma sono più strutturate e in grado di assicurare più occupazione.

E’ quanto mostra, in sintesi, il report della Camera di Commercio dell’Umbria, nell’ambito del Progetto Fenice.

Meno imprese, ma più addetti

L’analisi copre il decennio dal secondo trimestre 2015 al secondo trimestre 2025, includendo il 2019 come anno pre-pandemico. Nei comuni montani del cratere (Arrone, Cascia, Cerreto di Spoleto, Ferentillo, Montefranco, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Polino, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano e Vallo di Nera) escludendo Spoleto che, essendo una città, ha dinamiche sue proprie differenti dalla situazione più omogenea esistente negli altri comuni, le imprese artigiane attive sono calate da 489 a 411, con una perdita dell’11,2%.

Numeri peggiori della media regionale (-5,5%) e nazionale (-4%). Ma dietro questa contrazione si cela un paradosso positivo: gli addetti sono aumentati dell’11%, passando da 1.008 a 1.149. Una dinamica positiva che va in direzione opposta rispetto al resto del Paese: l’Umbria ha perso 3.936 addetti (-4,3%), l’Italia addirittura 214mila (-7,2%).

È il segnale che, seppur meno numerose, le imprese artigiane rimaste hanno saputo irrobustirsi, assumere e crescere di dimensione. La media è salita da 2,1 a 2,8 addetti per azienda, ribaltando il rapporto con la regione che nel 2015 aveva valori più alti.

Tanti dipendenti subordinati

Il vero spartiacque è nella qualità dell’occupazione. Nei 14 comuni del cratere, i dipendenti subordinati – lavoratori dipendenti veri e propri, non familiari – sono aumentati del 39,5%: da 370 a 629. Un dato che fa impressione se confrontato con l’Umbria (+1,5%) e con l’Italia, che ha perso il 6,2%.

In parallelo i collaboratori familiari sono scesi da 638 a 520 (-20,2%). Nel 2015 erano quasi il doppio dei dipendenti, nel 2019 si erano equilibrati, nel 2025 i subordinati hanno preso il sopravvento. È la fine del modello tradizionale e l’inizio di un artigianato più moderno, che non si regge solo sul nucleo familiare ma apre le porte a professionalità esterne.

Un passaggio che segna la differenza tra resistere e competere. E che racconta come il terremoto, pur devastante, abbia accelerato una trasformazione che altrove fatica a decollare.

Male Spoleto

Se si include Spoleto, il quadro resta positivo ma si smorza. La città, con oltre 36mila abitanti – più di tutti gli altri 14 comuni messi insieme – riduce la crescita degli addetti allo 0,6% e frena l’aumento dei dipendenti al 9,1%.

Le dinamiche spoletine, più simili al trend regionale, non agganciano la stessa traiettoria di rafforzamento. Il cratere montano appare così come un contesto a sé, più coeso e più segnato dalla ricostruzione, mentre Spoleto segue un percorso urbano e meno trainato dall’emergenza post-sisma.

I settori che trainano

Dentro i numeri si vedono i mestieri che hanno beneficiato di più. In dieci anni, gli addetti legati all’alloggio e alla ristorazione sono quasi raddoppiati, da 109 a 213, spinti dalla presenza del personale dei cantieri della ricostruzione e dalla ripresa post terremoto di un certo flusso turistico.

La manifattura cresce da 831 a 879 addetti, segno che anche i settori tradizionali possono adattarsi. L’agricoltura artigiana rimane stabile con 79 addetti, mentre trasporti e magazzinaggio segnano una leggera contrazione. Le “altre attività di servizi”, che includono anche comparti innovativi, assorbono circa 400 occupati.

Oltre la ricostruzione

La domanda è inevitabile: cosa accadrà quando i cantieri finiranno? La ricostruzione ha agito da motore straordinario, ma non potrà durare all’infinito. Se non si consolida ora la crescita, il rischio è di perdere terreno.

La priorità è rendere strutturale l’irrobustimento, puntando su innovazione, formazione, filiere e attrazione di giovani. Non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo.

La sfida sociale e il Progetto Fenice

Accanto ai segnali positivi, resta aperta una sfida cruciale: quella demografica. Il cratere montano soffre infatti di spopolamento e invecchiamento della popolazione, con il rischio che la vitalità economica non trovi nuova linfa nelle generazioni future. Perché la crescita non resti un episodio legato solo alla ricostruzione, occorre attrarre giovani e competenze innovative, trasformando questi territori in luoghi capaci di offrire opportunità stabili. Le risorse del PNRR, la spinta della digitalizzazione e le opportunità della transizione verde possono diventare leve decisive per consolidare i risultati e garantire che l’artigianato del cratere resti competitivo anche oltre l’emergenza. E in questo contesto si inserisce il Progetto Fenice, nato dalla collaborazione fra Università per Stranieri di Perugia, Comune di Norcia, Camera di Commercio dell’Umbria e Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica, per aiutare concretamente a ricostruire il tessuto sociale, culturale ed economico delle aree colpite dal sisma.

La dichiarazione di Mencaroni

Commenta Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Questi numeri ci dicono che la montagna umbra del cratere, pur ferita dal sisma del 2016, ha reagito con una sorprendente capacità di rafforzamento. Meno imprese ma più solide, più grandi, con più occupati, mentre la regione e l’Italia hanno perso terreno. La spinta della ricostruzione ha avuto un ruolo decisivo, ma la vera sfida è andare oltre e rendere strutturale questa crescita. Dobbiamo accompagnare le aziende nell’innovazione e nell’accesso a nuove competenze, perché l’artigianato non può restare legato soltanto all’onda lunga dell’emergenza. Il capitale umano è il cuore di questo processo – sottolinea Mencaroni – e come Camera di Commercio continueremo a sostenerlo con strumenti concreti di sviluppo territoriale. Perché non basta resistere: serve costruire un futuro competitivo. Il cratere montano ha dimostrato che l’artigianato può cambiare pelle anche nelle zone più fragili. La sfida – conclude – è trasformare l’eccezione in regola, facendo di questi territori un laboratorio di resilienza che diventa sviluppo”.