
La grande fuga dall’ospedale di Orvieto
Un ospedale ormai quasi alla canna del gas. Mentre ad Orvieto si discute sulla prossima apertura a Bardano del centro diagnostico privato Cidat, dotato di una risonanza magnetica ad altro campo come quella in uso al «Santa Maria della Stella«, le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti medici ed infermieri dell’ospedale continuano ad essere sempre più pesanti. Non solo, ma anche il clamoroso trasferimento del facente funzioni di cardiologia Andrea Mazza che ha vinto il concorso da primario a Città di Castello, sembra essere destinato ad essere presto seguito da altri abbandoni.

Ci si trova di fronte ad una situazione generale decisamente scoraggiante a causa delle carenze di personale che continuano a rendere difficoltosa l’attività dell’ospedale, costretto sempre di più ad appaltare all’esterno alcune prestazioni come avviene ad esempio con le ecografie che vengono eseguite dalla stessa Cidat la cui attività si svolge al momento in servizio di convenzione con la Asl. Un medico racconta come stanno le cose.
“Oltre a Mazza, anche un altro cardiologo si accinge a lasciare il reparto per andare a lavorare all’ospedale di Viterbo – riferisce – anche la situazione di chirurgia non è facile. Qui c’è già la richiesta di trasferimento ad altra sede da parte di un giovane chirurgo con esperienza, ma anche di un probabile terzo collega. Una dottoressa si è inoltre collocata in aspettativa in attesa di iniziare un nuovo incarico professionale all’ospedale di Perugia – prosegue il professionista – un’altra dottoressa proveniente da Roma ha subìto un incidente, è stata investita da un’auto, ciononostante ha dovuto tornare al lavoro, dicono sia stata vista lavorare con il gesso ma io non ho informazioni certe a riguardo”.
Anche nella diagnostica per immagini le cose non procedono bene. “Molti turni devono essere coperti da colleghi da altre sedi: Perugia, Terni e Foligno altrimenti diagnostiche ecografiche ed risonanza magnetica non sono in grado di funzionare. Al laboratorio analisi la scarsità di tecnici di laboratorio è tale che si rischia il blocco del servizio nel caso in cui ci fossero due malattie contemporaneamente. I tecnici dovrebbero essere quattro o cinque, ma a partire dall’anno scorso sono rimasti in tre. Anche per quanto riguarda i fondi del Pnrr per l’emergenza covid, è cambiato solo il nome dei reparti di medicina ma non c’è stato nessun effettivo cambiamento riguardo la qualità delle cure erogate e dei nuovi posti letto di terapia intensiva”.
Il medico riferisce anche le carenze che si registrano per il servizio per intervenire sugli ictus. Si tratterebbe in realtà di un servizio che esiste solo sulla carta. “Si basa infatti solo su pochi medici e non si hanno tutti gli strumenti necessari secondo quanto prescritto dalle linea guida”.