Abitare Orvieto | La politica che rimane immobile rischia di favorire la demonizzazione del turismo
La due-giorni di incontri e dibattiti organizzata dalla meritoria associazione “Abitare Orvieto” insieme a Sarah Gainsforth e Ivan Ryliov ha acceso un faro sul fenomeno che sta stravolgendo e cambiando il volto alla vita sociale anche di questa città a causa della forte contrazione degli spazi abitativi per locazioni lunghe, ormai cannibalizzati da quelli adibiti ad uso turistico. Un fenomeno fuori controllo che sta facendo mutare la percezione pubblica rispetto all’economia turistica, con l’affermarsi di una nuova mentalità apertamente ostile al turismo.
La totale passività con la quale la politica assiste inerme a questi cambiamenti rischia di favorire questa posizione che è comprensibile, seppure paradossale.
La premessa è che Orvieto non può e non deve vivere solo di turismo perché non è Rimini con i suoi 16 chilometri di spiagge, ma neanche Bolsena che ha 3700 abitanti. Il libro di Gainsforth “L’Italia senza casa” cita gli esempi di alcune capitali europee ed alcune città italiane, tra cui Venezia, in cui si stanno sperimentando varie forme di regolazione e limitazioni nei confronti degli affitti turistici. Stiamo vivendo un periodo di cambiamenti velocissimi e la crescente avversione verso il turismo rappresenta un movimento da comprendere e cercare di gestire con politiche efficaci prima che si trasformi in una forma di radicalismo alimentato da molte pulsioni tra cui il risentimento verso il ceto dei “proprietari”. Una versione aggiornata di classismo prodotto da quelle difficoltà e tensioni, finora mai sperimentate, che è in grado di produrre una città in cui non ci sono case per gli abitanti o aspiranti tali.
Questa lettura del fenomeno “B&B” è però corretta solo in parte. Se è vero che vengono favoriti i proprietari, è anche vero che qui, a differenza delle grandi città, non esistono multinazionali proprietari degli immobili e che quella dell’affittacamere è un’attività che rappresenta una integrazione del reddito per molte persone che hanno un lavoro precario o che non ce l’hanno affatto. Si tratta di un aspetto che ha anche molto a che fare anche con il sostegno all’occupazione femminile. Rischiamo invece di scivolare anche verso la criminalizzazione dei riconoscimenti di Patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco. Come se fosse una cosa facile da ottenere (senza parlare del fatto che ci metterebbe per sempre al riparo dall’installazione delle pale eoliche).
IL VILLAGGIO TURISTICO STA DIVORANDO LA COMUNITA’
Negli ultimi anni il villaggio turistico ha cominciato a divorare la comunità come Crono che divora i propri figli. La soluzione non è ridimensionare il villaggio turistico, ma investire con una intensità straordinaria sulla comunità, partendo dal mercato immobiliare e dalle politiche sociali che nella politica locale producono ancora lo stesso effetto di una bestemmia pronunciata in faccia al sacerdote al momento dell’eucarestia come dimostra l’incredibile vicenda dei sei milioni di euro destinati all’edilizia pubblica di Orvieto e rimandati indietro all’ex assessore regionale Enrico Melasecche.
L’idea liberista che si debba lasciar fare al mercato, che lo stato o un ente pubblico non debba interferire con le leggi dell’economia è un’idea sbagliata e pericolosa. Bisogna fare esattamente il contrario. Orvieto non ha bisogno di meno turismo, ma di molto più turismo e di migliore qualità. Serve però una spinta straordinaria verso l’edilizia pubblica e concordata, valorizzando un patrimonio immobiliare pubblico che pure esiste e non è affatto modesto.
La politica deve cambiare radicalmente, non solo il centrodestra. Se qualcuno ricorda i Qsv, i Quadri strategici di valorizzazione dei centri storici cari alla sinistra, ricorderà anche come l’idea di trasformare Orvieto in una Disneyland, modello Assisi in miniatura, venne partorita proprio in quel contesto, seppur in un momento storico in cui la fagocitazione turistica delle città era appena agli albori.
